
Tranquille, anche noi, come molte, lo pensiamo: la #festadellamamma è una ricorrenza soprattutto consumistica. Però, al netto della paccottiglia trash, dei santini infestanti, e scollinati gli auguri d’obbligo a chi se li aspetta, prendiamone il buono e sfruttiamo l’occasione per parlare di questo tema seriamente.
Sì, lo sappiamo bene che, dietro la sceneggiatura zuccherosa, essere madri è un duro lavoro, a livelli da prestazione olimpica,
mai abbastanza rappresentato e soprattutto ben poco riconosciuto in tutta la sua brutale fatica. Non dovrebbe essere così: in una epoca moderna ci dovrebbe essere la piena condivisione tra partner. Eppure, ancora oggi non ci siamo: l’Indice di asimmetria ci racconta infatti che, fatta 50% la pari ripartizione del lavoro familiare tra donne e uomini, quando si tratta di coppie che lavorano con figli, la donna si sobbarca ancora oggi del 69,4% del lavoro familiare (Istat, 2013).
Perché lo fa? Perché esiste un processo di negoziazione all’interno della coppia
che porta sempre alla soluzione che è la migliore per la famiglia ma difficilmente lo è anche per la donna. Certo, il portato culturale degli stereotipi di genere è sempre vivo e lotta contro di noi. In Italia, secondo Eurobarometer, il 46% pensa ancora che il ruolo più importante di un uomo sia quello di guadagnare denaro (lo pensa il 47% degli uomini e il 44% delle donne) e il 38% ritiene che il ruolo più importante di una donna sia quello di occuparsi della casa e della famiglia (lo pensa il 44% degli uomini e il 31% delle donne). Questa è certo una delle ragioni dell’Indice di asimmetria che ci troviamo.
Bisogna però ricordare sempre anche le ragioni economiche di questa scelta, che forse prevalgono anche su quelle culturali.
Se si decide di mettere al mondo un figlio è perché c’è una ragionevole certezza di stabilità economica per la coppia, il che troppo spesso si traduce in uno stipendio più solido e meglio pagato dell’uomo rispetto a quello della donna. Questo avviene non solo perché il mercato del lavoro paga di più gli uomini a causa dell’implacabile gender pay gap, ma anche perché ancora oggi i padri hanno più anni delle madri al momento del parto (35,9 anni contro 32,5, Istat, 2023). Hanno quindi avuto più anni a disposizione per migliorare la loro posizione lavorativa e dunque retributiva.
State tranquille che se in una coppia che vuole fare un figlio la donna guadagnasse, ad esempio, il doppio dell’uomo
e avesse uno stipendio stabile e lui uno precario, lei avrebbe una forza negoziale molto più forte che le permetterebbe di pretendere una maggiore condivisione del lavoro di cura e di non sacrificare il proprio lavoro, in barba ad ogni stereotipo culturale.
Per questo nelle richieste di part time o di congedo parentale, che vedono sempre le donne maggiormente presenti, le valutazioni di carattere economico all’interno della coppia hanno un peso importante che non è mai abbastanza considerato, né tanto meno misurato.
La situazione che abbiamo oggi è, quindi, ancora quella di un esercito di madri stravolte dalla fatica per le ore e ore di lavoro gratuito non pagato.
Quanto vale, in soldoni, il lavoro di una madre? Ne abbiamo scritto nel nostro libro, “Signora economia”: “…Salary. com, una tra le più grandi aziende americane specializzate in calcolo salariale, ha provato a simulare lo stipendio che dovrebbe prendere una madre, misurando il tempo dedicato alle varie attività familiari che svolge abitualmente, corrispondenti a venti figure professionali (tra cui governante, autista, insegnante di scuola pubblica, direttrice di cucina, cameriera, infermiera, responsabile dell’ufficio finanziario, della logistica, coordinatrice della raccolta fondi, negoziatrice dei conflitti e progettista di interni).
Una madre è davvero capace di fare tutto questo? Be’, sì, e pure ogni santo giorno.
Fa impressione, vero? E come appare tutto più nobile e di valore quando si usano i termini del lavoro retribuito! Salary.com, va ancora oltre e arriva a stimare che fare la madre può valere intorno ai 184.820 dollari Usa all’anno.
Troppo, direte? Be’ dipende. Il sito ha ovviamente posto una provocazione, prontamente criticata da qualche economista, ma ha solo valorizzato il lavoro di una madre applicando i parametri del mercato del lavoro americano per le mansioni equivalenti…”
Ovvio, non saremo mai pagate queste cifre, però questo calcolo ci serve per dare un valore concrete a questo ruolo che in troppi, ma anche in troppe, danno per scontato.
Anche in questo tipo di svalorizzazione del ruolo materno si nascondono parecchie ragioni del calo demografico e della crisi delle nascite, che ci fanno spesso percepire le iniziative proposte dai vari governi come un po’ dei pannicelli caldi. Certo, tutto fa, ma, come vediamo, non risolve.
Cosa ci vorrebbe, quindi? Nessuna qui ha la bacchetta magica, e i problemi complessi si risolvono solo con soluzioni altrettanto complesse.
Una cosa però è certa: da sole non si va da nessuna parte.
Certamente viviamo tempi stralunati e, si direbbe, giusto un filo isterici. Ma ogni crisi ci offre sempre un’opportunità di cambiamento importante che andrebbe colta al volo. In questo caso, si tratta di riscoprire una dimensione collettiva della maternità, che non si fermi agli sfogatoi sui social, ma che sappia partecipare, discutere, proporre e costruire soluzioni. Trovando, insomma, quella dimensione di “maternità politica” della quale parliamo ogni tanto, come parte di una ben più ampia, ricca e variegata cultura femminista (ne abbiamo parlato anche qui, qui e qui).
Sì, lo sappiamo, le mamme non hanno tempo di respirare e ci vuole ancora tutta ad arrivare a sera, figurati a impegnarsi in una qualche forma di attività politica o para-politica.
Ma non si chiede questo: basterebbe davvero, tanto per cominciare, migliorare la qualità del proprio tempo passato sui social e cominciare a informarsi un po’ di più su quanto sta succedendo (ad esempio sui rischi tremendi della proposta di riforma dell’affido condiviso) esprimere la propria opinione, partecipare.
Per tutte le altre che non sono nell’occhio del ciclone perché non hanno figli, non li hanno voluti o li hanno già grandi, si tratta di ritrovare una comunione di intenti.
Anche se la maternità può non fare parte della vita di molte, è però anche attraverso la piena valorizzazione, reale e figurata, di questa, che passa la piena parità e il benessere di tutte.
Lo dicono i numeri, lo dice l’economia, ma lo dice soprattutto la consapevolezza di chi sa guardare oltre la strumentalizzazione dell’immaginario mediatico e vedere quella realtà di vita che ci accomuna tutte, ciascuna nella diversità del proprio percorso.
Una vera #festadellemamme, insomma, ce la dobbiamo ancora costruire noi per prime, nessuno ce la regalerà. Trovare la forza e la lucidità per farlo è allora il nostro augurio di oggi.
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Foto di Alexander Grey su Unsplash