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Conoscere la violenza 6° e ultima puntata: quattro futuri possibili, solo uno quello giusto.

di Giovanna Badalassi | 25 Novembre 2022

violenza

La nostra serie sulla violenza economica non poteva che concludersi oggi, 25 novembre. Abbiamo parlato di tante cose, nelle cinque puntate precedenti, ma soprattutto abbiamo dimostrato, numeri alla mano, che la violenza contro le donne e i bambini si può davvero eliminare.

E quindi, perché non sta succedendo?

Certo, provocare con una domanda è facile, convincere un paese e una classe dirigente è invece una sfida davvero improba per le tante attiviste che vogliamo ringraziare per il loro impegno sovrumano.

Da parte nostra, vogliamo chiudere con un pensiero di speranza questa giornata che ci induce a dire che si. Si può fare. Dipende solo da noi.

Qualche tempo fa, quando in piena pandemia ci facevamo domande su quello che sarebbe successo, abbiamo proposto un esercizio di futurologia immaginando, grazie al contributo di un ricercatore inglese, Simon Mair, quattro scenari possibili rispetto all’incrocio degli estremi di due variabili: i valori dell’economia e della società (profitto o benessere) e il ruolo dello stato (forte o assente).

Questo esercizio, che riproponiamo, torna qui utile per immaginare quale potrebbe essere la dinamica della violenza sulle donne e i bambini, se nella società e nell’economia prevalesse il valore del profitto piuttosto che quello del benessere, e al contempo quale potrebbe essere la risposta in termini di investimento sui servizi di prevenzione e contrasto della violenza su donne e bambini, di uno Stato forte, piuttosto che di uno Stato debole.

1 – Capitalismo di Stato: in questo scenario il profitto vince tutto, lo stato è forte e sostiene totalmente il capitale.

Potremmo anche chiamarlo lo scenario “Money first”. La società e l’economia hanno come unico scopo il profitto al quale sacrificano anche il benessere collettivo. Lo Stato che rispecchia una tale società ed economia è comunque forte e orientato a sostenere questo obiettivo favorendo un massiccio intervento economico, sia in termini di contributi alle imprese che di investimenti infrastrutturali, chiedendo pochi soldi con le tasse e con un minimo ruolo normativo diritto di preservare il funzionamento del mercato. È quello che abbiamo visto all’inizio della crisi in alcuni Paesi come l’Inghilterra (vi ricordate l’immunità di gregge all’inizio) o gli Stati Uniti (Trump che nega la pandemia e corre senza mascherina ma finanzia il sostegno alle imprese).

Il sistema di welfare pubblico è debole o assente, poiché la maggior parte del denaro viene speso per sostenere il mercato e non c’è la volontà di spenderlo per la salute, la cura o il benessere.

È quindi uno scenario in cui le donne più forti e strutturate giocano la partita del profitto, entrano nella dimensione neoliberista del percorso di carriera ma ognuna provvede al proprio benessere. Le donne più deboli, invece, rimangono invisibili e ai margini della società. Fanno principalmente i lavori di cura sottopagati di cui questo tipo di economia ha bisogno in qualche modo.

Il modello centrale in questo primo caso è la “donna guerriera”, sfinita dalla battaglia, anche se non lo ammetterà mai, con un ottimo stipendio che le permette di pagare di tasca propria l’assistenza di cui ha bisogno. Dove il denaro domina i valori di una società, le disuguaglianze di genere tra uomini e donne, ma anche tra donne, aumentano.

In questo scenario aumenta anche la violenza contro le donne, poiché, come sappiamo, anche le donne sono considerate una proprietà, come il denaro, di cui disporre, ma non vi è alcun interesse pubblico o sociale o investimento nei servizi specialistici di sostegno alle donne.

2. Barbarie: il profitto vince tutto, lo stato è debole e assente.

Il valore predominante continua ad essere quello della massimizzazione del profitto, ma in questo caso c’è un’assenza dello Stato che non tutela né il mercato né i cittadini. Il mercato scatena così i peggiori istinti e si dedica alla massimizzazione predatoria del profitto, non paga né evade le tasse e lascia vuote le casse dello Stato. La politica è lasciata a una ristretta cerchia di pochi che cercano di scappare con il bottino avanzato, mentre le persone sono troppo preoccupate di sopravvivere per preoccuparsene. È uno scenario già sperimentato nel 2008 con l’austerità in Grecia e che ha portato al default del Paese.

In questo caso le donne sono in una spirale distruttiva in cui non hanno lavoro, nemmeno sottopagato, né welfare. Sopravvivono solo con il lavoro familiare e non retribuito.

Il modello centrale in questo caso è quello della martire, madre di una famiglia silenziosa che si sacrifica per tutti in un contesto drammatico.

La violenza sulle donne anche in questo caso, ovviamente, aumenta in un contesto nel quale i servizi pubblici sono minimi o non ci sono del tutto, né il volontariato può sostenere le donne come vittime. I servizi eventualmente abbandonati vengono addirittura smantellati.

3. Aiuto reciproco: il benessere vince su tutto, ma lo Stato è debole

In questo caso prevalgono nella società e nell’economia i valori del benessere personale, ma in un contesto di assenza o impossibilità dello Stato di intervenire con costanza nel welfare o nello sviluppo economico. Si sviluppano così nella società forme diffuse e frammentate di solidarietà e di mutuo aiuto.

Sono preziosi per tutelare la pace sociale e aiutare i più deboli, ma inefficienti dal punto di vista del sistema. Non bastano, infatti, a stimolare le variabili macroeconomiche della ripresa. Questo è uno scenario che abbiamo in parte sperimentato in Italia negli ultimi decenni, per esempio.

Le donne fanno affidamento sull’assistenza familiare informale, si aiutano a vicenda, possono lavorare ma non abbastanza, sono mal pagate e hanno un basso livello di emancipazione.

Il modello centrale in questo caso è la volontaria dedita agli altri ma con un lavoro ai limiti della sussistenza e senza prospettive future.

Poiché i valori sociali premiano il benessere delle persone, la violenza contro le donne può rallentare ma l’assenza di un sistema ben organizzato di servizi di supporto impedisce una sconfitta strutturale ea lungo termine della violenza e l’interruzione della trasmissione intergenerazionale.

L’assistenza quotidiana alle donne vittime di violenza è assicurata principalmente dal welfare informale e dal volontariato.

4 – Socialismo di Stato: il benessere vince su tutto e lo Stato è forte e sostiene fortemente il benessere.

Questo scenario è basato sulla crescita personale ed economica delle persone poiché il benessere prevale nei valori economici e sociali ed è sostenuto da uno stato interventista sia nel welfare che nelle politiche economiche. Investire nel benessere delle persone significa promuovere un mercato competitivo in un quadro di regole condivise, in cui si pagano le tasse o si crea un “debito buono” per avere risorse da spendere per lo sviluppo umano in termini di istruzione, sanità, servizi sociali. È la crescita delle persone che sostiene l’economia e non la crescita dei capitali.

Questo è lo scenario più paritario: molte donne trovano lavoro nel welfare pubblico e molte altre sono sostenute da un sistema di servizi adeguato e possono crescere nel proprio lavoro.

Non è un’utopia come sembra. Alcuni paesi nordici sono già così.

Il modello centrale in questo caso è quello della donna emancipata e istruita che fa un lavoro che le piace ed è adeguatamente retribuita, magari ha anche famiglia (tradizionale e non), figli, ed è anche politicamente attiva. Insomma, una femminista.

La violenza contro le donne in questo caso ha una forte possibilità di diminuire in modo significativo, a causa dei valori di benessere predominanti nella società e per l’impatto di efficaci servizi di supporto specialistici.

E quindi, in conclusione:

Abbiamo giocato al gioco del “Cosa succederebbe se…”, e ovviamente abbiamo descritto scenari estremi, sappiamo che la vita reale è infatti uno sforzo continuo per trovare un equilibrio tra le tante pressioni del mercato e della società.

Tuttavia questo esercizio ci torna ancora una volta utile in termini di visione olistica, poiché possiamo vedere chiaramente come:

– La violenza contro le donne e i relativi servizi di sostegno alle donne sono strettamente legati ai sistemi economici, ai valori di una società e al ruolo dello Stato.

– Il mainstreaming di genere, poiché consente di collegare tutti i punti, è un approccio che rafforza davvero indirettamente la prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne a livello sistemico.

– È molto importante che le attiviste abbiano una visione economica e gestiscano le capacità analitiche necessarie per essere più consapevoli di tutte le variabili che possono influenzare la violenza contro le donne e il sistema di supporto dei servizi.

– L’approccio politico per prevenire e combattere la violenza contro le donne, in questo momento storico, è più che mai importante.

Come ha mostrato questo esercizio, l’unico scenario che combatte realmente la violenza contro le donne con adeguati servizi di supporto è quello del socialismo di stato dove prevalgono i valori femministi del benessere nella società, nell’economia e nell’intervento di uno Stato forte anch’esso orientato al benessere grazie al supporto della società.

Photo by Briana Tozour on Unsplash

Tutto il dossier sulla violenza economica:

Prima puntata: Conoscere la violenza economica per eliminarla – #8marzosempre

Seconda puntata: La povertà e la condizione economica come fattore di rischio per la
violenza sulle donne e sui bambini/e

Terza puntata: L’impatto della violenza economica sulle vittime

Quarta puntata: Il costo sociale ed economico della violenza

Quinta puntata: Quanto vale la prevenzione e la cura delle vittime

Sesta puntata: Quattro futuri possibili, solo uno quello giusto.