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Unione Europea e parità di genere: un lungo percorso arrivato ad un momento decisivo.

di Giovanna Badalassi | 22 Marzo 2023

parità di genere

Pubblichiamo un articolo di Ladynomics comparso sul primo numero del 2023 della Rivista “InEuropa”, dedicato a “Un’Europa più forte, la risposta alle crisi”.

Nonostante gli innegabili progressi negli ultimi decenni, la parità di genere è ancora un obiettivo lontano. A livello mondiale, infatti, mancano ancora 132 anni alla piena parità nel mondo, mentre il continente europeo, che comprende 35 paesi, ci arriverà per primo, tra circa 60 anni, secondo le previsioni.

Nel merito dei 27 paesi dell’Unione Europea, invece, un altro indice, il Gender Equality Index dell’EIGE, vede la parità raggiunta nel 2022 per 68,6%, in miglioramento di 5,5 punti rispetto al 2010, ma con degli evidenti e pericolosi segnali di arretramento legati al maggiore impatto della pandemia sulle donne.

Se la buona posizione dell’Europa nello scenario globale può quindi rappresentare un motivo di soddisfazione, non può essere certo una ragione di distrazione o di rallentamento.

Anzi, bisognerebbe, piuttosto, accelerare: la letteratura scientifica spiega da anni, e con studi molto approfonditi, come la piena parità rappresenterebbe un balsamo per le nostre economie, in termini di produzione di PIL, di aumento della competitività e di benessere generale. Non è assolutamente trascurabile, inoltre, il contributo importante che la parità potrebbe offrire alla transizione ecologica e al contrasto al cambiamento climatico.

Per quanto la UE abbia la parità di genere come principio fondativo da perseguire, la realizzazione concreta e quotidiana di questo obiettivo è però ancora difficile, poiché richiede

una trasformazione radicale del sistema che va a toccare strutture di potere economico e politico consolidate e refrattarie al cambiamento,

soprattutto se questo comporta un importante ricambio della classe dirigente. Mettere infatti d’accordo 27 paesi sui principi di un trattato o su un documento strategico è una cosa, usare diversamente i fondi e riallocare poste di bilancio è, ovviamente un’altra. Non bisogna inoltre trascurare il periodo storico che stiamo vivendo, nel quale anche nella UE le forze democratiche si devono confrontare quotidianamente con la spinta sovranista e conservatrice di alcuni paesi troppo spesso discriminatoria verso le donne, se non proprio esplicitamente maschilista.

In passato l’Unione Europea ha avuto meriti considerevoli nel promuovere la parità di genere

con Fondi, progetti e iniziative, anche in paesi che non avevano una spinta autonoma forte su questo tema (a partire dall’Italia, che su questo tema avrebbe fatto ben poco senza i fondi EU negli ultimi decenni). A partire dalla crisi economica del 2008-2010 questa spinta si è andata però progressivamente affievolendo con l’alternarsi dei cicli di programmazione del bilancio EU, fino ad arrivare all’ultimo concluso, quello 2014-2020, per il quale proprio la Corte dei revisori dei conti europea ha recentemente lamentato la mancanza di attenzione all’impatto sulla parità di genere e un progresso troppo lento.

Come se non bastasse, anche uno strumento finanziario fondamentale come il NextGenerationEU si è rivelato assolutamente sbilanciato

nella distribuzione delle risorse tra donne e uomini, e di fatto utile solo per ristabilire lo stesso squilibrio di genere antecedente la crisi pandemica, ma inadatto a colmare il gap che manca per la piena parità. Considerato che la pandemia Covid è stata una vera e propria crisi di cura, dunque una crisi delle donne, il ridotto impatto di genere del NextgenerationEU ha messo in evidenza come le politiche EU possono contribuire a colmare il gap di genere solo se accompagnate da target chiari, obiettivi di risultato e budget dedicato.

Un po’ di nodi sono insomma venuti al pettine anche nella UE, e si sta affermando sempre di più la consapevolezza che ci voglia un impegno ben più forte.

Alcune iniziative sono quindi in corso per cambiare direzione e velocità di marcia al lungo processo di avvicinamento alla parità di genere.

Superando lentezze burocratiche e forze politiche ed economiche contrarie, in questo periodo la Commissione Europea, grazie anche alla forte spinta del Parlamento Europeo, sta infatti portando avanti importanti progetti per la parità di carattere strutturale come ad esempio il Gender budgeting sul proprio bilancio, l’obbligo per chi vuole accedere ai fondi per la ricerca di Horizon Europe di adottare un Gender Equality Plan, oltre al Gender Procurement ed il Gender Pay gap.

L’attenzione dell’Unione a questo tema anche in ambito finanziario sta infine aprendo nuovi ed importanti spazi di intervento che possono avviare un processo realmente trasformativo.

L’iniziativa più esplicitamente orientata alla parità in questo senso è quella relativa alle quote di genere nei CDA delle grandi aziende,

tema sul quale l’Italia è stata antesignana con la cd. Legge Golfo Mosca (Legge 120/2011), e che in Europa ci ha messo invece 10 anni per mettere d’accordo tutti ed arrivare al dunque. A novembre 2022 è stata quindi adottata dal Parlamento Europeo la Risoluzione che ha posto come obiettivo agli Stati Membri l’obbligo di introdurre procedure di assunzione trasparenti nelle società quotate in modo che, entro la fine di giugno 2026, il 40% dei posti di amministratore senza incarichi esecutivi e il 33% di tutti i posti di amministratore siano occupati dal sesso sottorappresentato.

Una seconda iniziativa importante, anche se non esplicitamente rivolta alla parità di genere riguarda poi

l’approvazione, sempre a novembre 2022, della Direttiva CSRD, Corporate Sustainability Reporting Directive

che rappresenta il punto di arrivo del lungo percorso dell’Unione Europea in materia di ESG (Environment, Social, Governance), i tre criteri internazionali che definiscono gli investimenti sostenibili.

Questa nuova direttiva impone una maggiore trasparenza su questioni ambientali, sociali e di governance alle grandi imprese, con l’obiettivo di dotare la UE dei migliori standard globali di trasparenza sulla sostenibilità. Una Direttiva molto importante, dunque, che allarga anche la platea delle aziende interessate dalle attuali 11.700 a circa 50.000.

Questi nuovi obblighi daranno una spinta decisiva al criterio di sostenibilità nel mercato finanziario europeo, guidando le scelte degli investitori. In questo quadro generale, la parità di genere è prevista e richiesta in diversi punti, anche se in una posizione ancora secondaria rispetto agli altri obiettivi ambientali e di governance, che ancora godono di una attenzione politica, economica e anche mediatica ben maggiore.

Ci sono però ottimi indizi che inducono a pensare come la parità di genere rappresenterà comunque un criterio di scelta per gli investimenti sostenibili sempre più importante e dirimente.

Secondo diversi studi, infatti, gli investitori nel mondo della finanza sono sempre più sensibili anche alla dimensione della parità nelle loro decisioni di acquisto. Se poi gli investitori sono anche donne, questo fattore incide ancora di più.

Per la UE, quindi, questo nuovo fronte aperto nel mondo della finanza può rappresentare davvero un passaggio decisivo nella Strategia Europea per la Parità. Dopo un impegno pluriennale sui temi dei diritti, delle politiche per il lavoro, della formazione, dell’istruzione e della ricerca,

promuovere la parità di genere nel mondo della finanza significa per la UE entrare direttamente nel cuore del sistema capitalistico.

Parafrasando il famoso motto “Follow the Money” nei prossimi anni saranno infatti proprio le decisioni sui capitali, sia privati che pubblici, che ci daranno la misura di quanto l’obiettivo della parità di genere sia davvero raggiungibile in modo strutturato e sistemico nell’Unione Europea e, si vuole sperare, anche in Italia.

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Foto di Ivan Oštrić su Unsplash