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La Giornata della terra e le donne

di Federica Gentile | 21 Aprile 2024

Domani ricorre la Giornata della Terra, e considerate le condizioni del pianeta, ogni giorno dovrebbe essere la Giornata della Terra: gli effetti della crisi climatica sono sotto i nostri occhi, mentre da anni ormai le scienziate e gli scienziati ci mettono in guardia sulle conseguenze a lungo termine di questa crisi sulle chance di sopravvivenza della razza umana.

Per cercare di correre ai ripari la comunità internazionale si è mobilitata (chi più chi meno) con vari accordi internazionali tra cui l’Accordo di Parigi, che si pone l’obiettivo di limitare il riscaldamento globale a 1,5 gradi rispetto ai livelli preindustriali. Si stanno facendo progressi per ridurre le emissioni di gas serra e passare alle energie rinnovabili, ma è chiaro che bisogna accelerare per limitare al massimo gli effetti del riscaldamento globale.

Prendere provvedimenti è urgente soprattutto per le donne e le ragazze, che hanno una probabilità quattro volte maggiore degli uomini e dei ragazzi di essere colpite dal cambiamento climatico; questa vulnerabilità è principalmente dovuta al loro status socio-economico: hanno maggiori probabilità di essere povere, e, in particolare in alcune aree del mondo, meno ricche,  sono coloro che devono procurare combustibile e acqua per le loro famiglie. La minore disponibilità di queste risorse come conseguenza del cambiamento climatico le espone per esempio a percorsi più lunghi , con rischi maggiori di essere vittime di aggressioni, e con un aumento del carico di lavoro domestico e di cura che impedisce loro di impegnarsi in attività retribuite ed in alcuni casi – per le bambine – frequentare la scuola. 

Anche i disastri naturali, la cui quantità e frequenza è in aumento, hanno un impatto di genere: secondo lo studio di Neumayer e Plümper, i disastri naturali abbassano l’aspettativa di vita delle donne più di quella degli uomini, e donne e bambini/e hanno una probabilità fino a 14 volte maggiore di quella degli uomini di morire in un disastro naturale. 

Uno dei  fattori che aumenta la vulnerabilità delle donne è il fatto di essere povere, in particolare nel Sud del mondo; non avere denaro significa non avere accesso ad abitazione sicure e non avere abbastanza risorse economiche per affrontare l’epoca post disastro. Nel caso in cui muoiano durante il disastro gli uomini, che di solito gli unici che lavorano in una famiglia, spesso succede che le figlie debbano abbandonare la scuola per lavorare e provvedere al sostentamento della famiglia.

Anche il fatto che la maggior parte delle caregivers siano donne, le espone a particolari rischi nel caso di disastri naturali, siccome non possono lasciare indietro le persone di cui si prendono cura: circa l’80% delle persone lasciate indietro a New Orleans nel 2005 dopo l’ordine di evacuazione obbligatoria per l’uragano Katrina erano donne. Non tutte le donne e bambine sono poi colpite allo stesso modo: ulteriori aspetti della propria identità, come l’età, la disabilità, lo status migratorio, e l’appartenere alla comunità LGBTQ+ possono rendere ancora più vulnerabili alla crisi climatica.

Anche come lavoratrici le donne non sono risparmiate dalla crisi climatica: a livello globale, sono concentrate in settori produttivi che possono risentire in modo significativo degli effetti del riscaldamento globale: si stima che  le donne siano il 48% della forza lavoro agricola globale e sono la maggior parte (l’85%) di coloro che lavorano nella lavorazione del pesce. La crisi climatica comporterà una riduzione della produttività di questi settori e quindi dei salari per le lavoratrici. In Malawy la diminuzione della quantità di pesce non solo danneggia  le donne che sono  l’80% delle venditrici al dettaglio di pesce come lavoratrici, ma le rende anche vulnerabili alla violenza: i pescatori spessono richiedono sesso  come pagamento per la poca merce disponibile. Insomma: la disuguaglianza di genere fa sì che le donne siano più esposte al cambiamento climatico e il cambiamento climatico rafforza la disuguaglianza di genere. 

Tuttavia, se la crisi climatica è una minaccia all’occupazione delle donne, la transizione ecologica potrebbe invece rappresentare una promessa? Dipende. 

L’obiettivo zero emissioni, se verrà perseguito in modo efficiente, potrebbe portare entro il 2050 alla creazione di 300 milioni di posti di lavoro a livello globale. In Europa, dove la sfida è diventare il primo continente con un impatto climatico pari a zero, la transizione ecologica potrebbe creare fino a 1 milione di posti di lavoro entro il 2030.

Questi nuovi posti di lavoro, i green jobs, sono stati definiti dall’Ilo come “lavori dignitosi che contribuiscono a preservare o ripristinare l’ambiente, sia in settori tradizionali come l’industria manifatturiera e l’edilizia, sia in nuovi settori green emergenti come l’energia rinnovabile e l’efficienza energetica.” Ci piacerebbe pensare che i green job offrano grandi occasioni alle donne,  ma dobbiamo essere realiste: l’inclusione delle donne nell’economia e nel mercato del lavoro non è ancora pienamente realizzata, ed è quindi difficile pensare che le cose possano cambiare radicalmente per quanto riguarda i green job; infatti ad oggi le donne nel mondo sono solo il 32% della forza lavoro nel settore delle energie rinnovabili, e solo il 23% dei dirigenti dei servizi idrici

Anche negli USA la situazione non è rosea: un’analisi dei dati di Fuller Project e Revelio Labs ha rilevato che la maggior parte delle persone impiegate nell’energia pulita e nel settore dell’energia solare ed eolica sono per la grande maggioranza uomini e che le donne sono solo il  31% di coloro che lavorano nel settore dell’energia pulita. Nei paesi dell’OCSE il 72% di coloro che lavorano nei settori green sono uomini e Italia gli uomini hanno una probabilità cinque volte maggiore delle donne di essere impiegati in green job. Detto diversamente: nel 2021, la percentuale femminile media nei Paesi dell’OCSE era del 28%, mentre in Italia del 20%

L’interesse per i green job in Italia c’è, ma soprattutto per gli uomini: una ricerca Almalaurea del 2023 ha rilevato  “che gli uomini hanno affrontato le tematiche legate alla sostenibilità ambientale più delle donne (65,4% rispetto a 58,9%). …L’unica eccezione è rappresentata dall’area STEM, percorso tipicamente maschile ma in cui le donne tendono, più frequentemente rispetto agli uomini, a intraprendere l’approfondimento di queste tematiche (il differenziale è di 2,3 punti percentuali)”.

Come osservato nell’articolo Green job e sostenibilità ambientale: una questione di genere? un maggiore interesse degli uomini per i temi legati alla sostenibilità ambientale potrebbe essere dovuto al fatto che  essendo maggiormente presenti nelle facoltà, tecnico-scientifiche “hanno quindi già in partenza un vantaggio rispetto alle donne nell’accesso alla formazione necessaria per i green job”; il fatto che invece le donne che studiano STEM  – prosegue l’articolo – si dedichino a temi di sostenibilità ambientale più essere dovuto al cercare, all’interno di discipline molto dominate dagli uomini, una nicchia più “femminile” (come quella della sostenibilità), data la maggiore sensibilità delle donne ai temi ambientali. 

Inoltre, secondo la Banca mondiale, uno degli ostacoli alla decarbonizzazione è la mancanza di manodopera e di talenti: la domanda di talenti per green job cresce con un tasso dell’8% all’anno ma vede una crescita dei talenti  del solo 6%. È quindi evidente che ci sarebbero notevoli opportunità lavorative, che però richiedono competenze spesso collegate al settore delle STEM in cui, appunto, le donne non sono adeguatamente rappresentate. 

Quindi, le donne, che già adesso non sono adeguatamente presenti in settori chiave per la transizione ecologica, potrebbero esserne escluse in futuro per i soliti motivi: segregazione di genere nel lavoro (per cui tendono a concentrarsi in occupazioni “femminili” e ad essere poco rappresentate nelle posizioni di leadership), stereotipi di genere, scarso accesso a formazione nelle STEM,  e discriminazione. 

Nel futuro, secondo il report Green jobs and women workers, la maggior parte dei  green job si concentreranno nei settori  dell’edilizia, dell’industria manifatturiera e della produzione di energia, dove le lavoratrici sono una minoranza, potenzialmente esacerbando le differenze di genere; anche nei settori dell’agricoltura e della silvicoltura, che dovrebbero beneficiare ampiamente della transizione ecologica, le donne sono meno del 20% della forza lavoro, con grandi differenze tra paesi economicamente più avanzati (2%) fino ad arrivare al 60% in alcuni paesi dell’Africa e dell’Asia. Potrebbero avere qualche chance in più nel settore dei servizi, in cui tendono a concentrarsi già adesso.

Un altro ostacolo alla partecipazione delle donne al mercato del lavoro e che quindi rappresenta anche un ostacolo per l’accesso ai green job nel futuro è la mancanza di servizi di assistenza all’infanzia. Per esempio, nel Sud Italia, dove il mercato del fotovoltaico si sta espandendo, con quindi una maggiore richiesta di progettisti di figure professionali come progettisti di sistemi solari e architetti, oltre il 51% dei laureati in architettura sono donne, ma il tasso di occupazione delle donne nel Sud Italia è molto basso, anche a causa di una scarsa disponibilità di servizi di assistenza per bambini e bambine 0-3 anni. 

Che cosa fare quindi per porre rimedio a questa situazione? E’ necessario continuare a rimuovere gli ostacoli per una piena partecipazione delle donne al mercato del lavoro affinchè la transizione ecologica sia un’opportunità anche per loro, ed è sicuramente necessario integrare la parità di genere e l’emancipazione femminile nei discorsi e nelle azioni sul cambiamento climatico, come hanno deciso di fare gli stati membri della Conferenza delle parti (COP) già dal 2017 riconoscendo quindi i diversi bisogni  e contributi delle donne nell’azione per il clima e aumentare anche il numero di donne  coinvolte nella protezione dell’ambiente nella leadership politica: nella UE solo il 27% dei ministri/e responsabili delle politiche sull’ambiente e sul cambiamento climatico sono donne. Un po’ pochino. 

Vogliamo però finire questo post con una buona notizia: in Svizzera un gruppo di donne anziane, le Klima Seniorinnen (Anziane per il clima) hanno deciso di prendere in mano la situazione e hanno  fatto causa, vincendo, al loro paese presso la Corte europea dei diritti dell’uomo accusando il governo svizzero di aver violato i loro diritti umani non attuando politiche abbastanza aggressive nei confronti del riscaldamento globale, siccome le donne anziane sono particolarmente vulnerabili a temperature estreme. Le Klima Seniorinnen hanno vinto la causa, e si tratta di una vittoria storica: la Corte di Strasburgo, dando loro ragione, ha riconosciuto il diritto della protezione del clima come un diritto umano. 

Grazie a delle donne.

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