Non sapremo mai se è una combinazione o una scelta consapevole, ma oggi, 17 novembre, giorno dello sciopero generale anche della scuola è, guarda un po’, il giorno nel quale si celebra pure la Giornata internazionale degli studenti. Essendo su Ladynomics, la domanda sorge spontanea: ma possiamo considerarla anche la giornata internazionale delle studentesse? Vediamo.
Il rapporto delle donne con l’istruzione, si sa, è relativamente recente da un punto di vista storico.
In antico infatti le donne non avevano accesso all’istruzione a meno che non appartenessero a nobiltà, e anche in quel caso si parla di casi eccezionali, come ad esempio Elena Lucrezia Corner Piscopia, la prima donna laureata in Italia e nel mondo nel 1678.
Una presenza delle donne sistematica nel mondo dell’istruzione si manifesta invece in concomitanza con la rivoluzione industriale, quando
l’esigenza di una forza lavoro alfabetizzata ha aperto le porte della scuola dell’obbligo e poi dell’istruzione superiore e accademica anche alle donne.
Certo, sempre un bel po’ dopo gli uomini: nel 1861 erano analfabeti il 72% degli uomini e l’84% delle donne, ma già nel 1931 gli analfabeti si erano ridotti al 17% per gli uomini e al 24% per le donne. Molto più lungo è stato invece il percorso delle donne per accedere agli studi superiori. Come ricorda Valeria Piattelli ”..nel 1874 venne permesso l’accesso delle donne ai licei e alle università, anche se in realtà continuarono ad essere respinte le iscrizioni femminili. Ventisei anni dopo, nel 1900, risultavano comunque iscritte all’università in Italia 250 donne, 287 ai licei, 267 alle scuole di magistero superiore, 1.178 ai ginnasi e quasi 10.000 alle scuole professionali e commerciali. Quattordici anni dopo le iscritte agli istituti di istruzione media (compresi gli istituti tecnici) erano circa 100.000”.
Oggi, però, ci siamo davvero rifatte con gli interessi e possiamo dire che l’istruzione è l’unico ambito assieme alla salute, nei quali abbiamo raggiunto quasi del tutto la parità.
Secondo il Global Gender Gap Report (2023) del World Economic Forum l’Italia è 60esima a livello mondiale nell’istruzione, dove ha raggiunto la parità al 99,5%, ma è addirittura prima come tasso di immatricolazione all’Università e ai percorsi di formazione terziaria.
Secondo il Rapporto 2022 sul Profilo dei laureati di Almalaurea, le donne rappresentano infatti il 59,4% del totale dei laureati. Tra queste il 63% si laurea in corso (contro il 57,9% degli uomini) e con un voto medio di laurea migliore (104,2 su 110, contro 102,4 per gli uomini)
A livello di popolazione complessiva c’è stato addirittura un sorpasso significativo: secondo l’Istat, nel 2022, “..Le donne in Italia sono più istruite degli uomini: il 65,7% delle 25-64enni ha almeno un diploma (60,3% tra gli uomini) e le laureate arrivano al 23,5% (17,1% tra gli uomini)…”.
Nell’ultimo secolo le donne hanno insomma capito che l’istruzione rappresenta davvero una porta aperta verso l’emancipazione e l’autonomia economica, ci si sono buttate a capofitto e hanno fatto bene:
i dati del mercato del lavoro, per quanto sempre penalizzanti, ci confermano infatti che per le donne studiare apporta comunque più vantaggi che per un uomo e in un certo senso limita almeno in parte un gender gap tra i peggiori in Europa.
Sempre secondo l’Istat, infatti, nel 2022 “..il tasso di occupazione tra le laureate è di 18,4 punti superiore a quello delle diplomate (soli 5,1 punti tra gli uomini); tra le diplomate è di 25,8 punti più elevato di quello tra le donne con al massimo la licenza media inferiore (14,3 punti tra gli uomini)…”
Studiare in Italia è inoltre fondamentale per il loro futuro delle ragazze anche dal punto di vista di avanzamento sociale.
Infatti, rispetto ai loro coetanei maschi, “le laureate provengono in misura maggiore da contesti familiari meno favoriti sia dal punto di vista culturale sia socio-economico. Il 28,4% delle donne ha almeno un genitore laureato rispetto al 34,6% degli uomini” Almalaurea, 2022.
Un titolo di studio più alto rappresenta infine un fattore protettivo dell’occupazione femminile anche in caso di maternità: il tasso di occupazione di una madre laureata con due figli è dell’82,7%, se è diplomata è del 56,8%, se ha titoli di studio inferiori al diploma è del 31,2% (Eurostat, 2022).
Se studiamo tanto, tutto bene, quindi? Fino ad un certo punto. E, guarda caso, è il punto del potere.
Se dal punto di vista quantitativo i numeri ci mostrano questa lunga, intensa e, se vogliamo, entusiasmante galoppata delle donne attraverso una vera e propria accelerazione della storia, appena andiamo a vedere quanto tutto questo studio le abbia rese realmente protagoniste del potere economico, sociale e politico, capiamo quanta strada ci sia ancora da percorrere.
Esistono infatti concrete differenze qualitative nelle scelte dei percorsi di studio che rendono le prospettive lavorative delle donne innegabilmente più fragili sia come solidità del posto di lavoro che come retribuzione.
E’ l’annoso problema delle materie STEM (Science, Technlogy, Engineering, Mathematics), che le donne scelgono ancora in troppo poche.
Questo non è solo un problema di perdite di talenti, ma anche di minori opportunità per le donne di partecipare al mercato del lavoro in settori economici più forti e meglio pagati. Questa segregazione di genere nei percorsi di studio è ancora molto forte: tra i laureati STEM le donne sono il 40,9% contro il 59,1% degli uomini (Almalaurea, 2022), con dei dati ancora più sconfortanti per le facoltà più gettonate nel mondo del lavoro come ad esempio ICT (Information and Communication Technologies), dove le laureate nel 2021 erano il 15,3%, o Ingegneria, con un tasso di femminilizzazione del 31,1% (Dati Miur, 2021).
Questo limite nelle prospettive di crescita, e dunque in prospettiva di potere economico e sociale, non riguarda solo il mondo del lavoro ma anche quello accademico dove, per quanto possiamo essere delle grandi secchione,
la stanza dei bottoni è ancora riservata agli old boys.
Le donne professoresse ordinarie in Italia sono solo il 26,2%, un po’ di più nelle facoltà umanistiche (38,9% nel gruppo disciplinare “Humanities and Arts”), in percentuale sconsolante invece sempre nelle facoltà STEM (16,4% nel gruppo disciplinare “Engineering and Technology”) (Dati Miur, 2021).
C’è infine un’altra dimensione di potere che non viene spesso messa in evidenza e sulla quale dovremmo interrogarci rispetto ai percorsi di parità nell’istruzione (e non solo), e riguarda la
Partecipazione e la rappresentanza negli istituti e nelle consulte studentesche
La partecipazione studentesca, sia che si tratti di eleggere o di essere eletti, rappresenta infatti una parte importante del processo educativo alla democrazia. I nostri ragazzi e ragazze possono infatti esercitarsi in questo ambito alle regole della vita pubblica, ai meccanismi di selezione dei/delle leader, alle regole della rappresentanza. Sono i primi passi, insomma, per la costruzione di una identità pubblica e collettiva al di fuori della propria famiglia. In molti casi, sono anche i primi passi verso delle vere e proprie leadership politiche, sociali ed economiche, basti pensare a quanti dei nostri leader hanno iniziato a fare politica come rappresentanti di classe o di istituto.
È quindi importante che anche in questo ambito le ragazze possano non solo avere le stesse opportunità, ma anche essere sostenute, motivate e supportate nel proporsi, nel costruirsi una propria identità pubblica che troppo spesso è scoraggiata dalle stesse famiglie e da contesti sociali e ambientali che spingono verso stereotipi di presenze femminili “trasparenti” nella dialettica pubblica collettiva e quindi democratica.
Come sappiamo, la rappresentanza studentesca a livello di istituto fa parte di un processo democratico all’interno del nostro sistema scolastico eredità della stagione dei movimenti studenteschi degli anni 70, attualmente regolata dal Testo Unico DL 297/94.
Oltre che a livello di singolo istituto, la partecipazione studentesca si può poi esprimere anche attraverso le consulte provinciali degli studenti, aggregate nei rispettivi uffici di coordinamento regionali e quindi presso l’Ufficio di Coordinamento Nazionale all’interno del quale viene nominato un portavoce nazionale degli studenti ogni 2 anni. Se non abbiamo quindi trovato dati sull’equilibrio di genere tra i rappresentanti di classe, di istituto o nelle consulte provinciali, vi possiamo però dire quello degli ultimi 6 portavoce nazionali che si sono alternati dal 2013 ad oggi: erano tutti maschi.
Quindi si, possiamo dire che il 17 Novembre sia giustamente una giornata internazionale che riguarda anche le studentesse. Ci serve infatti non solo per celebrare il percorso lungo, importante e impegnativo che hanno fatto in questo campo le donne di tante generazioni, ma anche per ricordarci la strada che dobbiamo ancora fare.
Foto di javier trueba su Unsplash