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Le esternalità negative, l’inquinamento e le donne

di Federica Gentile | 6 Giugno 2022

Tenetevi forte che oggi si parla di cose da economiste vere, e cioè di esternalità negative. 

Che poi, il termine fa paura ma una esternalità  è semplicemente qualcosa che “si manifesta quando l’attività di produzione o di consumo di un soggetto influenza, negativamente o positivamente, il benessere di un altro soggetto, senza che quest’ultimo riceva una compensazione.” (Wikipedia, grazie!). Uno studio di Trucost , “Natural capital at risk”, sponsorizzato dalle Nazioni Unite, ha analizzato le esternalità negative legate all’attività dei grandi poli di produzione, con delle osservazioni piuttosto interessanti.

Secondo lo studio, il valore delle 100 maggiori esternalità negative prodotte a livello globale dai maggiori poli produttivi mondiali è valutato in  4.7 miliardi di miliardi di dollari all’anno. 

Il settore che ha il maggiore impatto negativo sull’ambiente a livello mondiale  è la creazione di energia tramite carbone in Asia orientale, seguito dall’allevamento di bestiame in Sud America, dalla produzione di ferro e acciaio in Asia orientale,  dalla coltivazione di grano in Asia sudorientale, e infine, ancora una volta dalla produzione di energia con carbone in America del nord.

Nella tabella in basso vedete i 5 maggiori settori  produttivi a livello globale ordinati per produzione di esternalità negative e tipo di impatto. (GHG sta per emissioni di gas serra, Land Use è  l’ utilizzo di terra, Water  è  l’utilizzo di acqua). 

p. 9 – Natural Capital at Risk

La conclusione dello studio è che i maggiori poli produttivi ad alto impatto sull’ambiente non generano un profitto sufficiente per coprire il loro impatto negativo sull’ambiente. Messa giù in un altro modo: se i grandi poli produttivi mondiali dovessero pagare per le esternalità negative che creano non sarebbero redditizi. Non solo, ma l’iquinamento ha dei costi sociali, rilevanti, legati al riscaldamento globale e alla salute delle persone: uno studio ha stimato in 9 milioni le persone che muoiono per via dell’inquinamento globale. Non solo, sono state rilevate possibili correlazioni tra inquiamento, e l’esposizione alle tossine ambientali e lo sviluppo di malattie nelle donne, tra cui problemi di salute riproduttiva, e deterioramento immunologico e neurologico. Naturalmente, come molto spesso accade, gli studi sull’impatto di genere dell’inquinamento sono ancora indietro.


Comunque sia, abbiamo un sistema economico – quello che doveva essere efficiente, razionale – che di fatto consente di fare profitti (e danneggiare il pianeta, e quindi chi ci vive sopra) a condizione di (ab)usare delle risorse ambientali gratuitamente, vale a dire senza pagare per le conseguenze negative della produzione sull’ambiente, e sulle persone.

Uhm, sistema economico che  si basa su una risorsa gratis ed abbondante… Vi ricorda qualcosa? 
A noi si: il lavoro domestico e di cura non pagato, su cui si fatto si basa tutto l’andamento del sistema produttivo. Infatti dai padri fondatori in poi, l’economia  ha sempre considerato il lavoro domestico e di cura (svolto dalle donne, naturalmente) come una risorsa naturale, gratis e potenzialmente inesauribile e non come un lavoro produttivo.

E dunque, come l’ambiente, anche il lavoro domestico (pagato e non pagato) viene considerato poco e male, e come tale sfruttato, anche se indispensabile, con le conseguenze che sono sotto gli occhi di tutti e tutte.