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Una “nuova” pink tax: il mancato accesso all’aborto

di Federica Gentile | 11 Gennaio 2024

Dopo la sentenza della Corte Suprema Dobbs v. Jackson Women’s Health Organization che ha messo fine alla protezione dell’aborto a livello federale, negli USA, ed in particolare negli stati governati dai repubblicani, sono visibili gli effetti tragici di leggi che, rendendo virtualmente impossibile l’aborto, mettono anche in serio pericolo la vita di coloro che invece vorrebbero un figlio o una figlia.

A cause della severità ed in alcuni casi dell’ambiguità delle leggi antiaborto, in molti casi il personale medico – per evitare multe, incarcerazione, sospensione della licenza, non interviene fino a che la vita della madre non è in grave pericolo: in Tennessee un gruppo di donne a cui è  stato negato l’ aborto d’urgenza ha intentato una causa allo stato sostenendo che “Contrariamente allo scopo dichiarato di promuovere la vita, il divieto [di aborto] del Tennessee espone le pazienti incinte a gravi rischi di morte, lesioni e malattie, inclusa la perdita di fertilità, rendendo meno probabile che ogni famiglia che voglia mettere al mondo un bambino o una bambina sia in grado di farlo”, ed è ormai famoso il caso di Kate Cox, una texana a cui è stato prima consentito – dopo aver dovuto ricorrere ad un tribunale – il diritto di poter abortire d’urgenza per gravi motivi di salute per poi vederselo negato dalla Corte Suprema del Texas e dover abortire fuori dallo stato.

Secondo dati del 2022, sono piu’ di 25 milioni le donne tra i 15 e 44 anni, che vivono in stati in cui ci sono più restrizioni sull’accesso all’aborto rispetto al periodo precente a Dobbs. Il mancato accesso all’aborto negli stati governati dai repubblicani è un’altra devastante pink tax che grava sulle donne: sia quelle che non vogliono diventare madri, sia coloro che invece lo vorrebbero. E’ innanzitutto una tassa sulla salute fisica e mentale: al di là del rischio di morire per complicazioni di una gravidanza voluta a causa del mancato intervento del personale sanitario, uno studio ha dimostrato che le donne a cui è stato negato l’aborto per gravidanze indesiderate e che hanno poi partorito hanno riportato più mal di testa cronici o emicranie, dolori articolari e ipertensione gestazionale rispetto a quelle che hanno abortito.

A questi sintomi bisogna poi aggiungere l’ansia e lo stress dovuto alla ricerca di strutture dove poter abortire, e in molti casi, alla mancanza di soldi per pagare la procedura. Non solo, in stati come l’Idaho dove vige una messa al bando pressochè totale dell’aborto, si è verificato un esodo di ginecologhe e ginecologi che hanno deciso di lasciare lo stato per praticare la professione altrove, mettendo quindi a rischio la salute di tutte le donne: ” le donne che non hanno accesso agli ospedali con cure ostetriche hanno maggiori probabilità di affrontare conseguenze sulla salute, incluso un rischio più elevato di parto pretermine, che è associato ad asma, perdita dell’udito, disabilità intellettive e altri impatti permanenti per i bambini e le bambine.”

Il mancato accesso all’aborto si traduce anche in costi economici aggiuntivi: normalmente un aborto nel corso del primo trimestre costa sugli 800 dollari, a cui poi si devono aggiungere i costi da sostenere per recarsi in stati dove invece l’aborto è legale, e sostenere spese relative ad alberghi, pasti fuori casa, giorni di vacanza presi dal lavoro. Un caso riportato dal NY Times fa riferimento ad un costo totale per un aborto di 10.000 dollari. Se si guarda poi all’impatto economico del mancato accesso all’aborto, per le donne che volevano abortire per gravidanze indesiderate nel breve termine sono stati rilevati un aumento dell’ammontare dei debiti e del rischio di bancarotta e “questi effetti sono persistenti nel tempo, con tassi elevati di difficoltà finanziarie osservate l’ anno della nascita e per tutti i 5 anni successivi. Le stime suggeriscono anche che il rifiuto di abortire può ridurre l’accesso al credito e l’autosufficienza, particolarmente negli anni immediatamente successivi alla nascita” .

Considerato che buona parte degli aborti avviene per ragioni di natura economica, e che negli stati governati dai repubblicani oltre a non esserci virtualmente accesso all’aborto ci sono maggiori livelli di povertà (tra cui povertà infantile) e condizioni di salute peggiori, è evidente come tutto contribuisca a rendere la gravidanza, o il non volerne una, un’esperienza potenzialmente pericolosa. Tanto che un medico in Idaho ha consigliato ad una paziente incinta di farsi un’assicurazione della vita. Suggerimento saggio, dato che, sempre in Texas, Jeniifer Alvarez-Estrada Glick è morta per il mancato accesso all’aborto.

Le conseguenze della decisione della Corte Suprema di ribaltare la sentenza Roe v. Wade, che garantiva l’aborto a livello federale (peraltro solo entro i primi mesi di gravidanza) sta costando moltissimo alle donne – a volte anche la vita.

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