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Uguaglianza di genere: l’Italia fa passi indietro

di Federica Gentile | 21 Giugno 2023

L’Italia, almeno per le donne va sempre peggio: il nostro paese è passato, nella classifica del Global Gender Gap Report,dal 66esimo al 79esimo posto su 146 Paesi classificati, con un gap di genere chiuso al 70%.

Questo peggioramento, che accade ironicamente nel momento in cui abbiamo una prima ministra, è dovuto, come riportato, da Il Sole 24 Ore, soprattutto ad un peggioramento significativo  per quanto riguarda la presenza delle donne in politica, con il passaggio dal 64esimo al 40esimo posto in classifica. Abbiamo anche un lieve miglioramento per quanto riguarda la partecipazione e le opportunità economiche per le donne, con un passaggio  dal 110esimo al 104esimo posto – ma rimaniamo sempre piuttosto in basso nella classifica globale;  lo stesso si verifica per la variabile della salute e prospettive di vita per cui passiamo dal 108esimo posto in classifica al 95esimo.

Intanto Islanda, Norvegia e Finlandia, con un gap di genere chiuso rispettivamente al 91%, 88% e 86%, sembrano un altro pianeta; si tratta certo di paesi caratterizzati da un contesto sociale, demografico, ed economico diverso dal nostro, ma da cui si potrebbe davvero imparare, o copiare, molto. Per esempio, siccome la questione del declino demografico apparentemente preoccupa molto la nostra classe politica, almeno sosteniamo le famiglie – tutte, eh!;  da anni chi si occupa di uguaglianza di genere sottolinea l’impatto positivo che avrebbe sull’occupazione femminile, sull’economia  ed in generale sull’uguaglianza di genere un congedo di paternità lungo e ben pagato sul modello scandinavo, e da anni rimaniamo ferme ai pochi giorni del congedo italiano. 

Per chi ritiene che a livello culturale non siamo pront* per questo salto, ricordiamo che in Svezia, anche se i congedi  già negli anni ’70 erano diventati “parentali” da esclusivamente “di maternità”,  non si traducevano in una reale condivisione del lavoro di cura tra genitori, e quindi, nel 1995, venne attuata una “quota del papà”, per cui se i padri non avessero preso 30 giorni di congedo esclusivamente di paternità, i 30 giorni sarebbero andati persi.  Risultato: la percentuale di padri che presero il permesso salì dal 44% al 77%. Questo ci dice che il cambiamento culturale può essere innescato e/o accelerato dalle leggi, non è che le culture non cambino mai.

E di cambiamenti nel nostro paese abbiamo bisogno come il pane.

Immagine: Markus Winkler su Unsplash