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L’economia della Barbie

di Federica Gentile | 11 Aprile 2023

Dal 1959, quando la prima Barbie è stata prodotta, come giocattolo non ha praticamente conosciuto crisi. La Barbie ha intercettato i cambiamenti nelle esigenze e nei gusti della bambine (anche se non sono le sole a giocare con le Barbie) e si è adattata – o almeno ha cercato di adattarsi – ai tempi che cambiano. Per esempio, a seguito delle lotte per i diritti civili, la Mattel produsse la prima amica di Barbie di colore, Francie, che non ebbe successo perchè le bambine bianche non la compravano e anche la comunità afroamericana la criticò in quanto non aveva tratti propriamente afroamericani.

Bisognerà aspettare gli anni ‘80 per vedere la prima Barbie e il primo Ken di colore. Oggi tra le Barbie di colore abbiamo scienziate, attiviste e sportive come Naomi Osaka. Questa strategia ha decisamente pagato, e l’economia della Barbie va molto bene: nel mondo, ogni minuto vengono vendute più di 100 Barbie. La Barbie è venduta in 150 paesi e ci sono prodotti “Barbie” in ben 45 categorie, tra cui cibo, fitness e abbigliamento. Non solo, a luglio 2023 uscirà l’attesissimo film Barbie, soprattutto per la sceneggiatura e la direzione di Greta Gerwig, la regista che diede un taglio femminista a – diciamolo – la meno piacevole delle sorelle March: Amy.

Comunque, se dal punto di vista delle vendite tutto fila liscio per la Barbie, con il femminismo ha avuto una relazione travagliata: Barbie è stata accusata – anche a ragione, di inculcare nelle bambine un’immagine del corpo femminile totalmente irreale, e anche l’idea che le donne sono interessate principalmente a vestiti, accessori, e case. Tuttavia, la Barbie alla fine trionfa sempre, anche sui genitori più femministi: la mia famiglia è stata Barbie free per anni, quando all’improvviso, quando sembrava che l’avessimo scampata, la Barbie è entrata nelle nostre vite, e con lei la macchina della Barbie, la casa dei sogni della Barbie (affettuosamente risoprannominata: “abuso edilizio dei sogni”) e Barbie di varie forma e abilità fisica.

Infatti la Mattel nel tempo ha dato alla Barbie un makeover femminista, includendo Barbie con diversi tipi di corpi e anche Barbie attiviste. Non solo, coerentemente con lo slogan “You can be anything”, la Mattel ha prodotto una serie di Barbie STEM con l’obiettivo di ispirare le bambine ad interessarsi alle materie e ai mestieri scientifici, in cui di solito si vedono più uomini.

Ma giocare con una Barbie scienziata basta per ispirare le bambine a fare lavori diversi da quelli tradizionalmente indicati come “da femmina”? A quanto pare non necessariamente: uno studio ha condotto un’esperimento che ha dimostrato che le bambine che avevano giocato con la Barbie invece che con la molto meno affascinante “Mrs. Potato Head” (Signora Testa di Patata, che incredibilmente, è propria una testa di patata di plastica) indicavano poi una gamma di carriere a loro accessibile minore rispetto alle bambine che invece avevano giocato con Mrs. Potato Head.

Ma perchè questo succede? Pare che sia dovuto al fatto che la Barbie con i suoi capelli lunghi, vestiti un po’ sexy e trucco, sia alla fine, anche se vestita da scienziata, un giocattolo sessualizzato, e che quindi “le bambine reagiscano a questo giocattolo in una maniera coerente con la teoria dell’oggettificazione: con una diminuzione del senso di che cosa sia loro possibile”.

E quindi: Economia della Barbie sì, ma non troppo femminista.

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Immagine: Sandra Gabriel su Unsplash