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Non possiamo combattere la disuguaglianza senza dare valore al lavoro di cura

di Federica Gentile | 22 Febbraio 2023

Questa intervista di C.J. Polychroniou all’economista femminista Nancy Folbre è stata pubblicata il 2 gennaio 2023 da Truthout con il titolo We Can’t Combat Inequality Without First Valuing Care Work.

We want to thank Truthout for allowing us to translate this article in Italian.

Il patriarcato e il capitalismo sono sistemi basati sulle classi che aggravano le disuguaglianze di ogni tipo, inclusa la disuguaglianza di genere. Un’economia politica femminista non solo affronta le disuguaglianze di genere, ma cerca anche di rimediare alle disuguaglianze nella divisione del lavoro. Naturalmente ci sono diversi rami del femminismo, ma si può sostenere con forza che una prospettiva femminista socialista dell’economia politica, come quella adottata dalla famosa economista femminista Nancy Folbre, è meglio attrezzata per combinare teoria e prassi per comprendere e superare disuguaglianze di classe, genere e razza nel contesto del capitalismo.  Il lavoro di Folbre è proprio definito dalla costruzione di una prospettiva femminista socialista intersezionale. 

Nancy Folbre è professoressa emerita di economia e direttrice del Program on Gender and Care Work presso il Political Economy Research Institute (PERI) dell’Università del Massachusetts, Amherst. È autrice di decine di articoli accademici e numerosi libri, tra cui For Love and Money: Care Provision in the U.S. e, più recentemente, The Rise and Decline of Patriarchal Systems: An Intersectional Political Economy. 

C.J. Polychroniou: Voglio iniziare questa intervista chiedendoti di approfondire un po’ la prospettiva femminista socialista dell’economia politica, che fondamentalmente hai contribuito a istituzionalizzare, e spiegare in che modo differisce dall’economia politica femminista tradizionale. Perché portare il socialismo nel femminismo? 

Nancy Folbre: Vorrei poter essere d’accordo sul fatto che una prospettiva femminista socialista è stata “istituzionalizzata”. Penso che abbia acquisito una certa visibilità e, con ciò, una certa influenza politica. Sono anche convinta che stia guadagnando terreno e alla fine plasmerà il futuro politico. 

 Il femminismo socialista non è nuovo nell’economia politica. Molti dei suoi principi furono enunciati all’inizio del XIX secolo da due radicali irlandesi che sono spesso accomunati ai “socialisti utopisti” pre-marxisti, William Thompson e Anna Wheeler. A volte sono menzionati nei libri di storia come i primi sostenitori del diritto di voto delle donne, famose per l’Appeal of One Half of the Human Race, Women, Against the Pretensions of the Other Half, Men, to Retain Them in Political, and Thence in Civil and Domestic Slavery nel 1825. Eppure andarono ben oltre la questione dei diritti delle donne per insistere sul fatto che nessun sistema economico basato principalmente sulla concorrenza individuale potrebbe mai raggiungere l’uguaglianza di genere, perché i compiti di educazione dei figli/e e di cura della famiglia richiedono cooperazione sociale e impegno per il benessere delle generazioni future. 

Questa affermazione si trova, implicitamente o esplicitamente, al centro del femminismo socialista. Aiuta a spiegare la vulnerabilità economica di coloro che si specializzano nella cura in una società capitalista e la necessità di investire collettivamente in forme sostenibili di sviluppo che non diano priorità alla massimizzazione del profitto. Le femministe socialiste sono strettamente allineate con gli/le attivisti ambientalisti nella loro enfasi sulla necessità di sviluppare istituzioni più cooperative. L’economia politica femminista socialista suggerisce che la disuguaglianza può essere un serio ostacolo a quella che potrebbe essere definita (per evocare un termine marxista) una cooperazione “socialmente necessaria” – o (per applicare il gergo economico neoclassico) una cooperazione “socialmente ottimale”. 

L’economia politica femminista socialista suggerisce anche che le società capitaliste sono dirette verso crisi sempre più intense, non a causa di un tasso di profitto in calo o di un tasso di sfruttamento in aumento, ma perché incoraggiano la mancanza di cura per l’ambiente fisico e sociale nel perseguimento dell’ interesse personale di breve termine.  

Il degrado delle capacità umane attraverso la violenza, lo sfruttamento e la povertà sono un esempio delle molte forme di inquinamento che stanno sporcando il nostro pianeta. 

La disuguaglianza di genere è esistita nel corso della storia umana e il capitalismo statunitense perpetua chiaramente la disuguaglianza di genere. Perché la disuguaglianza di genere è così pervasiva e in che modo la classe sociale rientra nella discriminazione di genere? 

Non universalizzerei la disuguaglianza di genere nella stessa misura in cui intendi. Sì, è un tema persistente della storia umana documentata, ma ha spesso assunto forme diverse, collegate e trasversali alle differenze basate su razza, etnia e classe. 

La documentazione storica suggerisce che alcune delle prime società di raccoglitori-cacciatori erano gruppi relativamente non gerarchici ed egualitari, anche rispetto alle differenze di genere. Alcune di queste società, come gli Hadza in Tanzania, esistono ancora oggi. Allo stesso modo, alcune società oggi seguono pratiche matriarcali – non l’immagine speculare delle pratiche patriarcali, ma quelle in cui le donne e le madri controllano proprietà significative – come i Khasi in India. 

L’antropologa Sarah Hrdy sostiene che i vantaggi dell’educazione cooperativa dei figli e delle figlie sono stati un importante impulso all’evoluzione di altre forme di cooperazione all’interno del gruppo. 

Purtroppo, i gruppi patriarcali che inviavano giovani uomini in combattimento per rivendicare nuovi territori e catturare giovani donne hanno depredato con successo gruppi più pacifici ed egualitari, una dinamica intensificata dallo sviluppo della proprietà privata e delle nuove gerarchie basate sulla razza e sulla classe. 

Gerda Lerner ha sostenuto in modo convincente che l’istituzione della schiavitù si è evoluta dal sequestro delle donne. Il racconto di Plutarco della fondazione di Roma si adatta a questa storia, che compare anche nell’Antico Testamento della Sacra Bibbia: Deuteronomio 21 specifica che le donne catturate durante la guerra potevano essere “prese in moglie” dopo un mese. 

Una volta saldamente stabilite, le istituzioni patriarcali si sono rivelate straordinariamente persistenti: una divisione del lavoro che privava le donne di potere è stata imposta ai/alle giovani in tenera età con forza fisica e con l dottrina religiosa. È del tutto possibile che queste istituzioni basate sullo sfruttamento abbiano conferito alcuni vantaggi militari e demografici ai gruppi che le hanno adottate, facilitandone l’espansione. 

L’emergere di differenze di classe basate sulla proprietà ha avuto effetti contraddittori sulla disuguaglianza di genere. Sotto alcuni aspetti, le due dimensioni della disuguaglianza si sono rafforzate a vicenda. Offrendo specifici privilegi economici alle donne della propria famiglia, pur mantenendole sotto stretto controllo sessuale, i governanti maschi tenevano le donne divise tra di loro. Allo stesso tempo, le loro garanzie di potere patriarcale offrivano agli uomini delle classi inferiori almeno una parvenza di compensazione per lo sfruttamento di classe. Una delle illustrazioni più memorabili di ciò è il Patriarcha di Sir Robert Filmer, pubblicato nel 1680, che basava esplicitamente il diritto divino dei re sul diritto divino dei padri. E in effetti, molti padri a quel tempo godevano di un notevole potere legale ed economico sui loro figli/e adulti/e. 

D’altra parte, l’emergere di differenze pronunciate basate sulla razza e sulla classe ha indebolito per certi aspetti le istituzioni patriarcali, ponendo alcune donne e giovani adulti in posizioni contraddittorie, dove godevano di privilegi come membri di famiglie d’élite e guadagnavano almeno un po’ di voce a livello culturale. John Locke ha scritto un feroce attacco a Sir Robert Filmer, e mentre le sue teorie liberali fornivano una giustificazione ideologica per la proprietà privata e il lavoro salariato, hanno anche minato la fedeltà al diritto divino dei padri. 

Storicamente, vedo una complessa dialettica tra classe, razza e nazionalità, genere, età e sessualità, che a volte porta a un indebolimento disomogeneo ma significativo delle istituzioni patriarcali. Ho esposto alcune prove relative all’Europa occidentale nel mio libro The Rise and Decline of Patriarchal Institutions, sottolineando le conseguenze perverse della colonizzazione e della schiavitù. 

Hai prodotto un’enorme mole di lavoro sull’economia della cura. Come definiamo il lavoro di cura e in che modo contribuisce alla disuguaglianza di genere? Inoltre, quali soluzioni politiche proponi per affrontare il problema del lavoro di cura non retribuito? 

“Cura” è una parola importante e complicata che può significare molte cose e “lavoro di cura” viene definito in molti modi diversi da persone diverse. Quindi vorrei iniziare dicendo che propongo una definizione molto ampia: va oltre l’assistenza all’infanzia per includere la cura di altre persone, in particolare (ma non esclusivamente) le persone che hanno bisogno di aiuto per prendersi cura di se stesse (che in realtà è, la maggior parte di noi, prima o poi). Mentre gran parte del lavoro di assistenza non è retribuito, un numero abbastanza elevato di posti di lavoro retribuiti nel settore della sanità, dell’istruzione e dell’assistenza sociale comportano anche la fornitura di cura. E il lavoro di cura può assumere forme diverse: l’assistenza diretta in genere comporta un’interazione personale faccia a faccia, pratica. L’assistenza indiretta è meno interattiva, ma fornisce l’ambiente in cui viene fornita l’assistenza diretta, come fornire cibo, pulire, e garantire la sicurezza delle persone. La cura legata alla supervisione è meno un’attività che una responsabilità: essere disponibili, fisicamente ed emotivamente disponibili per fornire assistenza se necessario. 

Quindi, cosa distingue il lavoro di cura? Prima di tutto, ha un “output” distintivo: la produzione, lo sviluppo e il mantenimento delle capacità umane. Il concetto di capacità, sviluppato da Amartya Sen, Martha Nussbaum e altri, va ben oltre l’uso tipico degli economisti del termine “capitale umano”, perché le capacità non necessariamente “ripagano” nel mercato del lavoro. Comprendono una gamma di capacità e contribuiscono a molte forme di benessere sociale attraverso contributi cooperativi alle famiglie, alle comunità e al sistema politico. Le capacità hanno anche un valore intrinseco come mezzo di autorealizzazione ed espressione creativa. 

La sua definizione di capacità rientra nella rubrica di quella che a volte viene chiamata “riproduzione sociale”, necessaria al capitalismo (o a qualsiasi altro sistema) per riprodursi nel tempo. Eppure la produzione di capacità non può essere ridotta alla “produzione di forza lavoro” perché le sue implicazioni vanno ben oltre il regno dell’occupazione salariata. Il lavoro di cura diretto è letteralmente incarnato negli assistiti. Il lavoro di cura indiretto sviluppa e protegge le opportunità per gli utenti assistiti di proteggere, esercitare ed espandere con successo le proprie capacità.

Sia il lavoro di cura diretto che quello indiretto possono essere interpretati come una forma di investimento che genera grandi ritorni personali e sociali. 

Le caratteristiche distintive dell’“output” di cura aiutano a spiegare perché implica un processo lavorativo distintivo che è anche centrale per la definizione del lavoro di cura. Dal momento che chi lavora nel settore della cura raramente ha un diritto diretto sul valore delle capacità che creano – e poiché i destinatari delle cure non sempre sanno in anticipo ciò che desiderano o di cui hanno bisogno – la fornitura di cura raramente può essere ridotta in un processo di scambio impersonale dettato dalle forze della domanda e dell’offerta. La qualità dell’assistenza fornita dipende spesso da un certo livello di preoccupazione per il benessere dell’assistito – qualcosa che i biologi tendono a chiamare altruismo e gli economisti a volte si riferiscono a come preferenze prosociali. 

L’importanza della preoccupazione per gli altri è un elemento ovvio di una vita familiare e comunitaria di successo. Eppure è anche evidente, anche se spesso in forme meno personali, nella fornitura di servizi di assistenza a pagamento. Apprezziamo gli operatori sanitari che si prendono cura dei loro pazienti, gli educatori che si prendono cura dei loro studenti e gli assistenti sociali che si prendono cura dei loro clienti proprio perché se non si preoccupano, è improbabile che facciano un ottimo lavoro, soprattutto perché non lo sono pagati con il valore di mercato di ciò che producono. 

Le caratteristiche distintive sia della sua produzione che del suo processo lavorativo aiutano a spiegare perché il lavoro di cura tende ad essere economicamente svalutato o sottovalutato da un mercato capitalista. I benefici sociali che produce ripagano enormemente nel lungo periodo, ma sono difficili da misurare o cogliere individualmente.

E poiché l’impegno a fornire cura è profondamente radicato in norme e preferenze sociali molto legate al genere, è facile darlo per scontato.

Coloro che lavorano nel campo della cura possono chiedere reciprocità e rispetto, ma è difficile per loro minacciare di negare i loro servizi se non vengono pagati di più – dopotutto, sono, quasi per definizione, impegnati ad aiutare gli altri. Di conseguenza, sono spesso a corto di potere contrattuale individuale e collettivo. 

Per ricorrere a termini economici, sia coloro che forniscono cura senza essere retribuiti che quelli retribuiti sono tipicamente svantaggiati da un grande divario tra contributo sociale e ricompensa privata, specialmente in un ambiente economico e culturale in cui le ricompense private sono comunemente interpretate come una misura del contributo sociale. Nel mondo in cui viviamo, non è difficile che la gente pensi: “Guadagni tanti soldi? Wow, devi essere davvero produttiv*! Non guadagni molti soldi? Probabilmente non produci molto.” 

L’obiezione più comune che sento a questo argomento è “E i dottori? Loro lavorano nel campo della cura, secondo la tua definizione, eppure sono tra le persone meglio pagate del Paese”. Buona osservazione. È importante non generalizzare troppo. Molti fattori personali e istituzionali specifici influenzano i guadagni nell’economia statunitense. I medici in generale hanno acquisito un potere contrattuale significativo in un sistema sanitario molto malsano guidato da una combinazione di forze di mercato e collusione burocratica. 

Tuttavia, la retribuzione relativa di diversi tipi di medici illustra il mio punto: la specialità medica più pagata negli Stati Uniti è la chirurgia estetica, dove i pazienti di alto livello sono disposti a pagare enormi somme di tasca propria per migliorare il proprio aspetto personale. La specialità medica meno pagata negli Stati Uniti è il settore della salute pubblica, che include la prevenzione delle malattie infettive. Quasi nessuno paga di tasca propria per questo enorme vantaggio, e genera pochi profitti che possano essere intascati dagli investitori. 

Quindi, per tornare alla tua domanda sulle soluzioni politiche, sia che si parli di cura non retribuita o retribuita, abbiamo bisogno di più sostegno pubblico per la fornitura di servizi che beneficiano tutta la collettività. Abbiamo anche bisogno di una condivisione più equa dei costi sia privati che pubblici. Anche una rapida occhiata alla legislazione Build Back Better proposta dall’amministrazione Biden nell’autunno del 2022 – che dovrebbe estendere il sostegno pubblico alle famiglie e aumentare i salari per gli assistenti all’infanzia e agli anziani – dimostra che almeno alcuni democratici stanno cercando di aiutare l’economia della cura. 

Nelle lotte sociali, economiche e politiche contemporanee negli Stati Uniti, genere, classe, razza ed etnia non si intersecano abbastanza spesso, e sicuramente non con sufficiente energia e dinamismo. È questo un caso di teoria che precede la prassi? Come portiamo l’intersezionalità nella lotta contro il capitalismo e il patriarcato? 

Questa è una domanda cruciale e una priorità assoluta: collegare l’intersezionalità alla strategia politica. Eppure la mia opinione è quasi l’opposto della tua: penso che la prassi abbia preceduto la teoria. La maggior parte degli attivisti progressisti negli Stati Uniti è molto impegnata a contrastare molte dimensioni dell’oppressione, che vanno dal razzismo ai diritti riproduttivi, dalle molestie sessuali all’omofobia allo sfruttamento sul lavoro. Tuttavia, c’è una tendenza persistente a mettere le istanze relative alla razza, al genere e alla sessualità in una scatola chiamata “identità” e le istanze relative allo sfruttamento sul lavoro in una scatola chiamata “classe”. 

La casella “identità” evidenzia gli atteggiamenti e il linguaggio: ciò che le persone dicono e con chi si schierano. La casella “classe” evidenzia le differenze economiche strutturali: salari reali, disoccupazione, reddito familiare. Questa categorizzazione causa problemi: spinge l'”identità” in dibattiti furiosi su atteggiamenti e linguaggio e spinge la “classe” in qualcosa che può essere ridotto all’economia. Invece, penso che dobbiamo riconoscere le conseguenze economiche dell’identità di gruppo e della costruzione culturale della classe. 

Ci sono due modi per dirlo: in primo luogo, quella classe è una “identità” e, in secondo luogo, le identità socialmente assegnate come la razza o il genere hanno conseguenze economiche molto significative (incluso lo sfruttamento, e non solo da parte dei datori di lavoro). Questo porta a un quadro più complesso della divisione sociale, che aiuta a spiegare perché è così difficile da superare. 

Mettiamola in un modo meno astratto. Come economista femminista, ho sostenuto per anni che le donne hanno alcuni interessi economici comuni in quanto donne. Molti critici (comprese le femministe) hanno ribattuto che le donne non possono essere classificate come un gruppo economico perché molte di loro mettono in comune il reddito con gli uomini. La mia risposta è: “Sì, ma allora?” Ognuno appartiene a più di un gruppo economico. I membri della classe operaia statunitense godono di vantaggi significativi in quanto cittadini del paese economicamente più potente del mondo. (Marx e Lenin hanno riconosciuto l’importanza dell'”aristocrazia del lavoro” molto tempo fa).  Ciò non implica che manchino di interessi comuni basati sull’appartenenza di classe. 

Ciò implica che molte persone occupano posizioni alquanto contraddittorie, rendendo loro difficile valutare le strategie politiche: le vittorie per uno dei gruppi a cui appartengono possono significare perdite per altri gruppi a cui appartengono, e non è facile capirne l’effetto complessivo. “Make America Great Again” mi suona come uno slogan vuoto (e ipocrita), ma in realtà segnala promesse di limitare il libero scambio e l’immigrazione che sono sia fattibili (sono state implementate con successo in passato), sia tangibili (meno concorrenza per me e i miei figli sul posto di lavoro), anche se a lungo andare non pagheranno davvero. 

Penso che questo sia ciò a cui vuoi arrivare quando dici “le lotte … non si intersecano abbastanza.” Un altro modo per dirlo è che stiamo vivendo un periodo in cui gli interessi di gruppo non si sovrappongono abbastanza, cioè abbastanza per mobilitare efficacemente un cambiamento progressista. Questo problema non deriva dalla teoria dell’intersezionalità; è un problema del mondo reale che l’economia politica intersezionale cerca di spiegare. 

Naturalmente, questa spiegazione può essere usata per giustificare una posizione fatalistica, persino nichilista. Ma dovrebbe essere usata per pensare in modo creativo alla necessità di spiegare meglio le disuguaglianze multidimensionali senza semplicemente attribuirle ad atteggiamenti negativi. Ancora più importante, dovrebbe essere utilizzato per sviluppare coalizioni politiche attorno a principi di giustizia economica che enfatizzino le conseguenze perverse della concentrazione globale del potere capitalista, ma vadano oltre semplici prescrizioni come “porre fine al capitalismo”. 

Immagine: Matheus Ferrero su Unsplash