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Chiara Ferragni e la filantropia delle donne

di Federica Gentile | 13 Gennaio 2023

una donna tiene in mano delle banconote da 100 dollari.

Chiara Ferragni ha donato il suo compenso per Sanremo 2023 a D.i.Re., Donne in rete contro la violenza, e si è scatenato un discreto putiferio, come spesso succede. A noi però è venuta una curiosità e ci siamo chieste quale sia il ruolo delle donne nella filantropia.

E abbiamo scoperto che le cose stanno cambiando: secondo quanto riportato da Charities Aid Foundation, “con l’emergere di numerose imprenditrici e un maggior numero di trasferimenti intergenerazionali di ricchezza destinati alle figlie, piuttosto che solo ai figli, circa il dieci per cento delle persone con un patrimonio netto elevato (UHNWI) a livello globale sono ora donne.  Il loro numero è salito del 36% a 328 nell’elenco dei miliardari del 2021 di Forbes.”  

Questo significa che sempre di più rispetto al passato le donne dispongono non di un patrimonio acquisito tramite il matrimonio, ma acquisito grazie alla famiglia d’origine e con il  proprio lavoro. Non solo, con più filantrope cambiano anche le cause per cui si dona denaro, come i diritti e  la  salute riproduttiva delle donne, problematiche che altrimenti non riceverebbero molti fondi: nel 2017, solo il 7% delle fondazioni francesi si impegnava a sostenere donne e ragazze, e negli Stati Uniti solo l’1,6% delle donazioni totali va a favore dei diritti delle donne e delle ragazze.

Fino a poco tempo fa inoltre di filantropia delle donne si sapeva poco, siccome era compresa e resa invisibile da quella dei mariti: una volta separatasi dai mariti sia Melinda French (ex moglie di Bill Gates) che MacKenzie Scott (ex moglie di Jeffrey Bezos)  sono diventate molto più aperte (e più generose, nel caso di MacKenzie Scott) riguardo alle cause che stanno loro a cuore e che finanziano, dando una notevole visibilità alla filantropia delle donne. 

Al di là delle cause per cui si dona e della visibilità per cui si dona, conta anche il modo di donare: negli ultimi anni la filantropia femminista ha sottolineato come sia necessario non riprodurre dinamiche di potere sbilanciate tra chi dona e chi “ha bisogno”  concependo la filantropia come  “un atto di solidarietà e mutua responsabilizzazione, in cui le soluzioni ai problemi che le donne affrontano sono viste come una questione di responsabilità reciproca”. E quindi sottolineando la necessità di innescare cambiamenti condivisi e di largo respiro.

Tornando al fatto del giorno, Chiara Ferragni è un’ imprenditrice di successo che decide di disporre dei suoi soldi in un determinato modo, e ne ha parlato pubblicamente. Al di là delle intenzioni dietro alla donazione (lo fa perchè ci crede, per marketing, per un mix di ragioni etc) che non possiamo ovviamente conoscere con certezza, si tratta di denaro molto necessario per i Centri antiviolenza, come ha evidenziato Giulia Blasi, e che migliorerà senza dubbio la vita di molte donne vittime di violenza. Inoltre, il fatto che ne abbia parlato contribuisce a mettere in luce la filantropia delle donne, e, magari anche solo nel breve periodo, il problema della violenza di genere. E chissà, magari qualcun* anche solo per il fatto che “l’ha fatto la Ferragni” deciderà di seguire il suo esempio con altre donazioni.

Detto questo, andando oltre il caso Ferragni, la filantropia non ha sempre e necessariamente un impatto sistemico rilevante; può mettere una pezza, più o meno grossa, su determinati problemi che sarebbe competenza di chi ci governa affrontare alla base. Le iniziative filantropiche per esempio a favore della sostenibilità possono essere utili ed efficaci, ma possono raggiungere gli stessi obiettivi di una legislazione seria e di ampio respiro per combattere la crisi climatica? Le due cose possono coesistere, e le organizzazioni filantropiche possono sicuramente attivare i governi su determinati temi, ma per le crisi attuali abbiamo bisogno di interventi decisi e coraggiosi che siano indipendetenti dal desiderio di “fare del bene” di privati cittadine e cittadine che coltivano i loro propri interessi, economici e no, e le cui donazioni potrebbero non essere garantite nel tempo. 

Inoltre, l’accumulazione stessa di  ricchezza nelle mani di pochi e poche che consente di fare grandi donazioni, è un grosso problema. Secondo Oxfam, in Italia la disuguaglianza è aumentata, e nel 2020 ci sono stati un 1 milione di poveri in più mentre, a fine 2020, il top 10% degli italiani più ricchi possedeva oltre sei volte la ricchezza netta del 50% più povero della popolazione. Non solo, tra marzo 2020 novembre 2021 si è  passati da 36 miliardari italiani inclusi nella lista di Forbes a ben 49 ed “[i] 40 miliardari italiani più ricchi posseggono oggi l’equivalente della ricchezza netta del 30% degli italiani più poveri (18 milioni di persone adulte)”. Questa disuguaglianza ha conseguenze serie e di ampia portata. Sarebbe quindi urgente e necessario affrontare le questioni di redistribuzione della ricchezza: per esempio i Patriotic Millionaires negli USA vanno al di là della filantropia e fanno un’attività di lobby per far pagare più tasse ai ricchi evidenziando come i 25 americani più ricchi negli USA pagano tasse in media del 3,4%, mentre l’americano/a medio paga tasse pari al 22,4%.

Ben venga la filantropia, ben fatta, ma in un mondo ideale si insisterebbe sulla necessità di redistribuire la ricchezza, argomento che sicuramente piace meno, soprattutto ad alcuni filantropi e filantrope.