×

Congedo di paternità in Giappone: la cultura che non cambia

di Federica Gentile | 13 Settembre 2019

Uomini giapponesi camminano per strada.
Photo by Banter Snaps on Unsplash

Che il congedo di paternità sia uno strumento che può potenzialmente aumentare l’uguaglianza di genere in una società, a questo punto lo sanno pure i sassi. Purtroppo però, anche quando ci sono generose politiche che consentono anche ai padri di passare tempo con la prole, ci si scontra con il fatto che la cultura, sul luogo di lavoro e nella  società, cambia un po’ più lentamente.

Reuters infatti riporta che un impiegato giapponese della Asics si sta rivolgendo ai tribunali per essere  stato mobbizzato al rientro dei 2 congedi di paternità che si è  preso per i propri figli. L’azienda ha in realtà – almeno in teoria – dei valori piuttosto progressisti, e per ora respinge le accuse. Non si tratta del primo caso in Giappone, tanto che è stato coniato il termine “patahara”, che significa “molestie nei confronti dei padri”.

Il Giappone peraltro prevede per i padri fino ad un anno di congedo dal lavoro dopo aver avuto un figlio/a – uno dei congedi più generosi di tutti i paesi OECD: la paga non è  garantita, ma è  possibile ricevere  dei sussidi da parte del governo; nel 2018 solo il 6% dei padri  giapponesi ha usufruito del congedo di paternità e la maggior parte per meno di una settimana.

La cosa non sorprende: anche nel progressivissimo nord europa, in cui  è  molto comune per i padri prendere il congedo parentale, si è  dovuto lavorare per ottenere questo risultato: è  stata l’introduzione delle daddy quota (quota del congedo parentale che può essere usufruita solo dai padri) negli anni ’90 a far si  sì che i padri in Norvegia, Svezia e Islanda prendessero il congedo di paternità più spesso. Anche loro hanno avuto bisogno di un “aiutino”, ma il risultato è  che adesso è  normale per i padri del Nord Europa occuparsi dei propri pargoli e pargole.

Fonte: Japan parental leave case puts spotlight on workers’ rights