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Leader uomini femministi? Davvero?

di Giovanna Badalassi | 17 Settembre 2019

Di tutte le fibrillazioni politiche e battutacce twittarole che ci stanno rallegrando in queste ore in merito alla novità di #ItaliaViva, molte donne sono state colpite dall’aggettivo “femminista” usato per definire la politica del nuovo partito.

Diverse le reazioni: chi applaude entusiasta (finalmente qualcuno si ricorda di noi), chi ci crede (è troppo in gamba, farà certamente quello che dice), chi ci vede una mossa cinica e furba (ci butta un amo, si è accorto che 13 milioni di donne non votano e pensa che siano scalabili con una strizzata d’occhio), chi si prepara (vigileremo perché faccia davvero quello che dice e non gliene passeremo una).

Per non sapere leggere né scrivere, ricordiamo che

non basta nominare le donne per definirsi femministi, data la sottile differenza tra donne di potere e femministe di potere.

Ci vogliono contenuti, programmi e, soprattutto, soprattutto, la capacità di sapersi mettere un po’da parte, quasi in ombra, per lasciare luce e spazio alle donne, alle loro parole e idee.

Quindi.. immaginate.

Nel mentre che aspettiamo a vedere come verrà declinata la parola femminista in questa novità del panorama politica, ci viene in mente che

leader uomini che si sono definiti femministi ce ne sono già stati un po’ in questi ultimi anni:

Obama si è fatto fotografare con la maglia “This is what a feminist look like” e si è giocato lo sdoganamento di Michelle ogni due per tre (2016)

Trudeau ha fatto discorsoni fascinosi per trasmetterci tutta la sua vicinanza emotiva, intellettuale alla causa lanciando movimenti e progetti di parità (2017).

Anche Macron ci ha provato, e ha fatto l’umile: Sono un femminista che vuole essere riconosciuto dalle donne ma poi sono andati a vedere cosa ha combinato davvero  e gli hanno fatto il pelo e il contropelo (2015).

Quindi come dire…nulla si crea e nulla si distrugge, soprattutto il femminismo.