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Quando gli uomini faranno i lavori “da donna”

di Federica Gentile | 31 Maggio 2018

Se non siete vissuti finora in esilio sulla cima di una montagna, dovreste sapere che è importante che le bambine e le ragazze si interessino alle materie STEM (Scienza, Tecnologia, Ingegneria e Matematica) e che quindi aspirino a diventare scienziate ingegnere, programmatrici, etc. tutti campi lavorativi considerati appetibili nel ventunesimo secolo e – sarà un caso? – tutti mestieri tradizionalmente maschili.

Le iniziative e gli articoli sul tema abbondano e giustamente; infatti come riportato da Alley Oop “i dati del MIUR riferiti alle lauree magistrali del trascorso anno accademico (2017)  indicano una concentrazione femminile superiore all’80% nelle seguenti classi di laurea magistrale: Linguistica; Psicologia; Storia dell’arte; Scienze per la conservazione dei beni culturali; Lingue moderne per la comunicazione e la cooperazione internazionale; Scienze dell’educazione degli adulti e della formazione continua; Scienze pedagogiche; Servizio sociale e politiche sociali.” I dati ISTAT relativi all’occupazione riflettono questa situazione: le donne rappresentano solo il 23,1% degli Specialisti in scienze matematiche, informatiche, chimiche, fisiche e naturali  e il 18% degli Ingegneri, architetti e professioni assimilate. Non parliamo poi della politica: mai come in questo momento e’ chiaro come  fare politica sia percepita come un’attivita’ principalmente maschile;  infatti   nella crisi di governo le voci che si sono sentite sono state soprattutto  voci di uomini. 

Ci sono tuttavia anche mestieri presidiati dalle donne: per esempio nelle professioni qualificate nei servizi sanitari e sociali le donne predominano con percentuale pari all’83%, e nelle professioni tecniche nelle scienze della salute e della vita le donne rappresentano il 63%.  Ricadono in questa categoria mestieri quali assistente sociale, infermiere etc, tutte occupazioni considerate meno prestigiose e quindi meno pagate, perché rappresentano una sorta di esternalizzazione del lavoro di cura la cui responsabilità è storicamente stata delle donne, che lo hanno svolto per secoli gratis. Si tratta di lavori rivolti alle persone, mentre i lavori “maschili”  sono soprattutto rivolti alle “cose”. Siccome il denaro è nato per favorire lo scambio di cose/patrimonio, non per i servizi alle persone, la società fatica a riconoscere il valore economico dei lavori cosiddetti femminili.

E infatti, avete mai sentito di campagne che invitano i maschi ad interessarsi a questi tipi di lavori? Gli stessi articoli sul tema della segregazione orizzontale di genere si concentrano sempre sul fatto che non ci sono abbastanza donne in settori dominati dagli uomini, ma raramente sul fatto che non ci siano abbastanza uomini nei settori dominati dalle donne.

Perché non incoraggiamo abbastanza i ragazzini e gli uomini ad interessarsi a materie e settori lavorativi che sono tradizionalmente femminili? A diventare maestri di asilo, per esempio?  Al di là del fatto che i lavori “femminili” sono valutati meno dal punto di vista monetario e di riconoscimento sociale, sorge un dubbio: sarà mica che facciamo fatica a spingere bambini, ragazzi e  uomini verso questo tipo di lavori proprio perché non consideriamo come valore maschile il prendersi cura di qualcuno?

Ovvio, ci sono sempre più uomini che si prendono cura delle persone, molti padri che si prendono cura dei figli e figlie, ragazzi che si prendono cura dei genitori, ma se nelle pratiche individuali qualche passo avanti lo si sta facendo, le statistiche sulla condivisione del lavoro domestico di cura a livello nazionale, europeo e mondiale continuano a confermare che come società di certo non consideriamo la cura (ed il lavoro domestico) come una cosa “da uomini”.  Ancora una volta, sono gli stereotipi di genere ad essere dannosi, nel senso che non permettono agli individui di perseguire e sviluppare i propri talenti in modo completamente libero da condizionamenti sociali. 

Che fare?  Le possibilità sono tante, ed un  interessante spunto arriva  dalla Svezia (si, sempre lei!). A seguito della legge sul congedo parentale e di paternità e del fatto che nove padri su dieci si prendono del tempo per stare con i figli, i condizionamenti relativi ai  ruoli di genere sono cambiate, comincia – nella società svedese – a far parte dell’essere uomo (e padre) occuparsi dei figli, ovvero, il prendersi cura è diventato parte integrante dell’essere uomo. Ora, è certamente  complesso determinare se questa maggiore associazione della cura con gli uomini si possa tradurre, in che modo e quando in una minore segregazione a livello occupazionale – ma promuovere una maggiore condivisione della cura e combattere stereotipi di genere sono sicuramente passi avanti importanti.

E’ importantissimo e fondamentale spingere le ragazzine e le donne ad essere presenti  e a lavorare in campi tradizionalmente maschili, ma anche altrettanto importante spingere ragazzi e uomini e non precludersi determinate carriere ed occupazioni solo perché sono viste come femminili e quindi di seconda classe. ​