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Giustizia fiscale e femminismo, ovvero se le multinazionali pagassero le tasse…

di Federica Gentile | 8 Luglio 2016


Photo by Christine Roy on Unsplash

Questo post è la traduzione integrale dell’articolo Corporate tax is a feminist matter di Maria Hengeveld, pubblicato da Africa is a country il 12 settembre 2016. Ringraziamo l’autrice dell’articolo  per averci gentilmente permesso di tradurre integralmente il suo pezzo.

This is the Italian translation of the article Corporate tax is a feminist matter   by Maria Hengeveld, published by  Africa is a country on September,12th 2016. We thank the author, who kindly allowed us to translate her article.

CitiGroup, Coca Cola, ExxonMobil, General Motors, Goldman Sachs, Verizon, Wal-Mart, Pfizer, JP Morgan Chase, Bank of America e  Microsoft; di tutte le cose su cui queste multinazionali si trovano d’accordo, due saltano all’occhio: una proclamata devozione alla causa femminista e una tendenza all’evasione fiscale.

Riguardo alla prima, tutte le multinazionali dichiarano di dedicare parte delle loro attività per la responsabilità sociale d’impresa all’”empowerment economico” delle donne e delle ragazze nei paesi poveri, e a tal fine, promuovono lo sviluppo di capacità imprenditoriali, buone pratiche di risparmio, e accesso a prestiti come una panacea per l’empowerment delle donne e lo sviluppo dei loro paesi; i passi che queste multinazionali intraprendono “per far avanzare e rendere le donne “empowered” li rende dei modelli per l’uguaglianza di genere tra multinazionali, secondo il Global Compact delle Nazioni Unite.

Ma poi, c’è il problema delle tasse. Qualche mese fa, la ONG Oxfam ha calcolato che solo tra il 2008 ed il 2014, le 50 più grandi aziende pubbliche negli Stati Uniti hanno accumulato qualcosa come 337 miliardi di dollari in agevolazioni, possedendo nel frattempo l’enorme somma di 1,4 milioni di miliardi in riserve di capitali all’estero. Tutte le compagnie menzionate sopra sono incluse in queste 50.

L’evasione fiscale da parte delle multinazionali rappresenta una “componente integrale delle [loro] strategie di business” e sono una grossa fonte di devastazione socio-economica in particolare per il Sud del mondo, dove queste tasse rappresentano una quota maggiore delle entrate totali dei governi (16% secondo il Fondo Monetario Internazionale, contro l’8% per i paesi più ricchi) e dove la capacità tecnica di affrontare complesse questioni fiscali riguardo a centri di investimenti offshore  e altre scappatoie è più debole. In questo caso, dichiara Oxfam, le tasse non pagate dalle multinazionali posso fare la “differenza tra vita e morte, povertà e opportunità”.

Questa pratica  costa ai paesi poveri circa 100 miliardi di dollari all’anno.

Il risultato, prevedibilmente è che, in tutta l’Africa, coloro che sono poveri, pur lavorando, (più del 38% della popolazione nell’Africa sub-sahariana) spesso finiscono per sobbarcarsi gli aumenti delle tasse messi in atto dai governi, mentre invece le multinazionali la fanno franca. In Malawi, per esempio, dove si calcola che gli incentivi fiscali per il settore minerario siano otto volte la cifra che il governo raccoglie in entrate ogni anno, alcuni dicono che “è all’ordine del giorno per i piccoli business pagare più tasse delle multinazionali”.

Nel frattempo, come ha rivelato una nuova indagine, le aziende sudafricane fanno un uso decisamente ampio di paradisi fiscali in Olanda, dove, apparentemente, “un ufficio con una pianta d’appartamento è abbastanza per soddisfare il requisito degli ispettori delle tasse secondo cui un’azienda è davvero attiva ad Amsterdam”, piuttosto che essere solo una azienda fittizia (facendo passare il proprio denaro in Olanda,  pare  che le aziende abbassino  la propria aliquota fiscale fino allo 0,6%. Delle 20 più grandi aziende quotate in borsa a Johannesburg, 14 hanno una o più filiali in Olanda). Tra i gruppi femministi e ONG che si occupano di povertà la giustizia fiscale è considerata come un fattore chiave per lo sviluppo e i diritti umani, con molte femministe che sottolineano che sono le donne e i bambini che soffrono di più quando i servizi di welfare non sono disponibili.

Chiara Capraro ha lavorato per Christian Aid, la cui ricerca Death And Taxes  ha stimato, già nel 2008, che i paesi in via di sviluppo perdono di più per false fatturazioni e falsificazione dei prezzi da parte delle multinazionali (ne parleremo in seguito) di quello che ricevono in aiuti per lo sviluppo. In seguito, in partnership con  Tax Justice Network Africa (che twitta qui), hanno pubblicato Africa Rising, che (tra le altre cose)  delinea i passi da fare per impedire alle multinazionali e ad  altre élite economiche di abusare delle agevolazioni fiscali. Per Chiara, che ora si occupa di diritti economici per Womankind a Londra, l’imposta sui redditi d’impresa è una questione femminista, e rappresenta un grande potenziale di empowerment delle donne, se si dà loro una chance di saperne di più e di organizzarsi.

Dato che tipicamente questo tipo argomenti non sono parte del curriculum standard di chi si occupa di diritti delle donne e di uguaglianza di genere, abbiamo chiesto a Chiara di darci un’idea di cosa si intende quando si parla di tassazione di impresa come di una questione femminista.

EU Tax haven protest via GUE/NGL Flickr (via Africa is a country)

Abbiamo letto  che il “sistema fiscale è  truccato” e che permette alle multinazionali di evadere le tasse in Africa, ma che cos’è il sistema fiscale internazionale? Come funziona? Chi lo controlla? Puoi spiegarcelo in maniera semplice?

E’ importante chiarire da subito che la maggior parte delle pratiche che finiscono sotto la definizione di “elusione fiscale” sono al momento legali. Questo è dovuto al fatto che le regole sulla tassazione delle aziende multinazionali non hanno tenuto il ritmo con la natura mutevole del business globale. Queste regole sono state elaborate negli anni ‘20 quando i grandi conglomerati non esistevano così come li conosciamo adesso.

Come risultato, le varie filiali che sono parte di un’unica multinazionale vengono tassate come compagnie separate. Questo permette loro di spostare i  profitti in giurisdizioni fiscali  con aliquota fiscale pari a zero (paradisi fiscali) e minimizzare le tasse da pagare. Non solo i profitti possono essere spostati ovunque conviene di più, ma possono anche essere gonfiati o sgonfiati – con un meccanismo che si chiama falsificazione commerciale dei prezzi. Poiché attualmente l’80% del commercio globale ha luogo all’interno di multinazionali questa pratica ha importanti conseguenze.

Per semplificare, se io gonfio il profitto che ricavo dalla vendita di un prodotto o un servizio tra due filiali della mia azienda e  carico quel profitto in una zona con aliquota fiscale bassa, sono sicura di minimizzare le mie tasse. Questo è al momento ancora legale. Siete ancora confusi? A Christian Aid abbiamo cercato di spiegarlo con una banana e in questo video spieghiamo dove vanno a finire i soldi. Oltre alla capacità di minimizzare le proprie tasse con queste strategie, le multinazionali hanno anche goduto di una riduzione delle  aliquote fiscali sui profitti nel corso degli ultimi decenni. Secondo KPMG, l’aliquota fiscale media mondiale è diminuita dal 38% nel 1993 al 24,9% nel 2010. E non finisce qui: nella competizione per attrarre investimenti diretti stranieri, molti paesi in via di sviluppo hanno utilizzato ulteriori incentivi fiscali per le multinazionali, cosa che ha creato una competizione al ribasso tra i vari paesi.

Per esempio, il Fondo Monetario Internazionale ha scoperto che nel 1980 nessun paese a basso reddito dell’Africa sub-sahariana aveva delle zone a tasse zero per attrarre investimenti, ma nel 2005 queste esistevano in metà dei paesi.  Se il 40% dei paesi dell’Africa sub-sub-sahariana offrivano esenzioni fiscali negli anni ‘80, nel 2005 le offrivano l’80% dei paesi. Gli incentivi fiscali sono più spesso offerti ad hoc, senza una adeguata analisi di costi e benefici. Nelle zone economiche speciali che sono create per queste aziende spesso le condizioni di lavoro sono scadenti, l’attività sindacale è proibita e le aziende causano danni ambientali.

La domanda “chi fa le regole”, è una buona domanda, perché va al cuore della ragione per cui il sistema delle tasse non funziona. È soprattutto l’OCSE, un gruppo di paesi del Nord del mondo a governare il sistema fiscale globale. I paesi in via di sviluppo sono al momento esclusi dalle decisioni sulle regole fiscali globali e lo stesso OCSE ha riconosciuto che i suoi tentativi di riforma non corrispondono agli interessi particolari dei paesi più poveri. Coloro che fanno campagne per la giustizia  fiscale ritengono che il processo decisionale abbia bisogno di essere democratizzato e debba essere governato dalle Nazioni Unite per rappresentare davvero le preoccupazioni e i bisogni di tutti i paesi. Discussioni sulla  creazione di un Global Body Tax hanno dominato la terza conferenza per il Finanziamento dello sviluppo, che si è svolta a Addis nel luglio 2015. Questa conferenza ha rivelato le profonde differenze tra poteri del Nord e del Sud del mondo su questa questione.

Recentemente, l’attivista dello Zambia Cecilia Mulenga ha dichiarato che una sua amica, che era incinta di otto mesi quando è morta per complicazioni della gravidanza sarebbe stata ancora viva “se queste multinazionali pagassero quanto devono” e una infermiera del Malawi attribuisce alle esenzioni fiscali per le multinazionali le lunghe file dei pazienti e il suo stesso sentimento di aver fallito come infermiera. E’ così semplice? Non è che i redditi che derivano dalla tasse sulle imprese finiscano direttamente dei budget della sanità o della istruzione, giusto? Qual è la tua opinione su questo aspetto?

Questa è una preoccupazione giusta – se ci fossero maggiori entrate dalla tassazione sulle aziende sarebbero poi spese dove serve, per esempio, per finanziare programmi per prevenire la violenza contro le donne, o per infermiere che si occupano di salute materna? Sfortunatamente non possiamo stabilire un nesso causale. Sappiamo che la dottrina economica neoliberista predica sia tasse più basse  per i ricchi che tagli per la spesa pubblica, e così entrambi gli aspetti della questione devono essere contestati. Spesso la mancanza di un legame causale preciso tra aumento delle entrate  e spesa viene utilizzato per respingere le rivendicazioni per la giustizia fiscale.

Anche la corruzione è spesso usata come una ragione per cui non dovremmo preoccuparci troppo di aumentare le entrate, perché sarebbero comunque sprecate. Tuttavia, una ricerca di Global Financial Integrity ha dimostrato che corruzione e furti da parte di pubblici ufficiali rappresentano solo il 3% dei flussi finanziari transnazionali illeciti. Invece, l’elusione di tasse commerciali rappresenta il 60-65% [di questi flussi illeciti]. Quindi, anche se i pubblici ufficiali corrotti sono un problema, questo non può essere usato come una scusa per non occuparsi delle tasse. Servizi pubblici universali ed essenziali hanno portato  un grande progresso nello sviluppo umano in Europa dopo la seconda guerra mondiale. E le entrate fiscali sono la fonte di finanziamento  più sicura che dovrebbe essere incrementata e spesa per realizzare i diritti di tutte e tutti.

Hai detto che la giustizia fiscale è una questione femminista. Come si applica questo all’Africa?

Si, io credo che la giustizia fiscale sia una questione femminista per almeno 3 ragioni. In primo luogo, perché la conseguenza immediata dell’evasione fiscale è una perdita di risorse necessarie per implementare i diritti delle donne. Nel corso degli ultimi 30 anni ci sono state molte buone leggi per i diritti delle donne. Tuttavia, le risorse per implementare queste leggi non ci sono state. Quindi questi progetti sono rimasti sulla carta.

In secondo luogo, le attività economiche delle donne subiscono in modo sproporzionato l’impatto dall’attuale ingiusto sistema fiscale. Più del 70% delle donne nell’Africa sub-sahariana lavorano nell’economia informale, per la maggior parte  senza accesso a contratti, maternità e congedi per malattia e protezione sociale. Tuttavia, [queste donne] pagano tasse sotto forma di imposte sul valore aggiunto e una serie di tasse locali. Una ricerca di Christian Aid in Ghana ha rilevato che il 96% delle commercianti che lavorano  nei mercati di Accra pagano in tasse fino al 37%  del proprio reddito, senza aver accesso a nessuna forma di protezione sociale. Se non affrontiamo i pesci grossi, sono queste donne che continuano a sorreggere un peso fiscale ingiusto. Molto spesso le discussioni sulle piccole attività imprenditoriali delle donne si concentrano sull’accesso al credito, sullo sviluppo di competenze finanziarie e capacità [imprenditoriali], ma è necessario  guardare anche alle questioni fiscali.

Ma c’è anche una terza e più radicale questione femminista. Le multinazionali stanno attualmente approfittando del lavoro di cura non pagato delle donne, che sostiene l’economia produttiva e riproduce la forza lavoro di oggi e di domani. Poiché questo lavoro è generalmente invisibile nell’economia politica non c’è una valutazione delle risorse necessarie per supportarlo e da dove queste risorse dovrebbero provenire.

Dato che le multinazionali occidentali sembrano essere particolarmente dannose, credi che ci sia una particolare responsabilità dei movimenti di donne occidentali? E’ già un tema di cui si occupano?

Le tasse sono un problema globale, quindi io credo che sia fondamentale costruire una solidarietà transnazionale tra femministe su queste questioni. Mentre è vero che le multinazionali transnazionali riescono ad evitare di pagare la loro equa parte di tasse sia nel Nord che nel Sud del mondo, gli effetti sono più evidenti nei paesi del Sud del mondo, che hanno un maggiore bisogno di raccogliere risorse per fornire  servizi sanitari e scolastici e costruire infrastrutture sociali e fisiche. In Gran Bretagna, dove vivo, c’è stata una crescente preoccupazione da parte delle femministe sull’impatto delle misure di austerity sui diritti delle donne, ma penso che abbiamo bisogno di una maggiore consapevolezza sulla questione fiscale. Le femministe possono impegnarsi per questa causa prima di tutto informandosi sul perché questo problema sia di importanza critica, imparare qual è l’impatto dell’evasione fiscale nel mondo, richiamare alle proprie responsabilità le multinazionali e i governi riguardo alle loro pratiche e fare pressioni per una riforma politica. C’è un grande bisogno di demistificare la questione fiscale. Non è qualcosa di cui solo gli esperti possono parlare, è importante per tutti/e noi, e quindi dobbiamo capirla e affrontarla.

Da quello che ci stai dicendo, la giustizia fiscale sembra essere connessa a letteralmente tutte  le istanze di giustizia sociale, dall’uguaglianza di genere allo sviluppo, alla salute, all’istruzione. Questo suggerisce che ogni volta che parliamo di empowerment femminile, salute, ed istruzione in Africa, non possiamo lasciare le tasse fuori dall’equazione. E’ corretto?

E’ proprio così. Io penso davvero che come femministe dobbiamo passare più tempo a chiederci se la politica economica stia funzionando per i diritti delle donne e in modo più ampio per i diritti umani. La politica fiscale è davvero un pezzo fondamentale di questo rompicapo. Riguarda chi ha potere e chi non lo ha, chi ci perde e chi ci guadagna. Esistono molti studi e attivismo su questi temi da parte delle economiste femministe ma c’è bisogno di demistificare queste questioni e accertarci di parlarne con cognizione di causa. L’uguaglianza di genere alla fine non sarà realizzata gratis, e lo stesso vale per la salute, l’istruzione, la prevenzione della violenza e la redistribuzione della responsabilità per il lavoro di cura non pagato – tutti passi necessari per trasformare la condizione delle donne.